Esteri

24 marzo 1999: una data troppo scomoda per qualcuno

di Ernesto Ferrante -


E’ passato ancora una volta sotto traccia, volutamente, l’anniversario di un “evento” che imbarazza gran parte della sinistra italiana. Correva l’anno 1999, quando una pioggia di fuoco cadde su Belgrado.

I numeri di quella operazione sono da brividi: 78 giorni di “guerra umanitaria”, 34mila missioni di cui 13mila d’attacco; 20.000 bombe e missili sganciati, 450 bersagli fissi distrutti, tra cui il 57% delle riserve di carburante, 35 ponti e tutti i 9 aeroporti.

Il 24 marzo 1999, i bambini serbi non videro le rondini nel cielo ad annunciare l’arrivo della primavera ma uno stormo di F-16 messaggeri di morte e distruzione. Tanti degli attuali mali, hanno avuto origine allora. Il germe del salafismo è stato iniettato nel cuore del Vecchio Continente attraverso i Califfati di Kosovo e Bosnia, per poi essere utilizzato per smembrare la Libia, devastare l’Iraq e “balcanizzare” la Siria. “Pungiglioni”, per usare un termine caro ad Hillary Clinton, lasciati in giro a fare danni.

Con l’autorizzazione data dal governo D’Alema all’intervento militare e all’utilizzo dello spazio aereo italiano per i bombardamenti, è stato introdotto quello “stato di eccezione permanente” con cui si continua ad aggirare il diritto internazionale, modellandolo ad uso e consumo della NATO. La partecipazione alla guerra imperialista contro la Serbia, voluta da Massimo D’Alema, forte del voto in Aula di una maggioranza che comprendeva Pdci e Verdi e del sostegno sui giornali, nelle sezioni e nelle piazze di una sinistra compiacente, fu un massacro travestito da “difesa attiva”.

Una colpa che dovrebbe pesare come un macigno sulle coscienze di chi finge di non ricordare o di chi, pur contestando in quel momento quell’attacco, qualche anno dopo votò “baffino” come ministro degli Esteri, aprendo la strada alla guerra in Afghanistan (i bertinottiani).

La sinistra radicale di casa nostra, invece che con i vecchi “compagni” serbi, aveva una corrispondenza di amorosi sensi con gli oppositori “democratici” di Radio B-92 e con la redazione di “Studio B” di Vuk Draskovic, sotto l’ombrello della Cia di “Radio Liberty” e al soldo di George Soros. I suoi referenti politici erano i dirigenti di “Zayedno” e quelli di “Otpor”, addestrati a Sofia da generali statunitensi.

Uomini teleguidati ed eterodiretti non solo per rovesciare Milosevic, ma per difendere gli interessi di Ambo (Albanian Macedonian Bulgarian Oil), entità registrata negli USA per costruire un oleodotto in funzione anti-russa da 1,1 miliardi di dollari (rimasto solo su carta) che avrebbe dovuto portare il petrolio dal Mar Caspio a un terminal in Georgia, per poi essere trasportato via nave attraverso il Mar Nero fino al porto bulgaro di Burgas ed attraversare la Macedonia fino allo scalo albanese di Vlora, strategico per imbarcare il greggio sulle petroliere dirette alle raffinerie statunitensi sulla West Coast.

Il “contributo” italiano è cristallizzato nelle parole pronunciate da D’Alema dopo l’accordo di “pace” siglato il 9 giugno 1999: “Vorrei ricordare che quanto a impegno nelle operazioni militari, noi siamo stati il terzo Paese, dopo gli Usa e la Francia, e prima della Gran Bretagna. In quanto ai tedeschi, hanno fatto molta politica, ma il loro sforzo militare non è paragonabile al nostro: parlo non solo delle basi che ovviamente abbiamo messo a disposizione, ma anche dei nostri 52 aerei, delle nostre navi. L’Italia si trovava veramente in prima linea”.

I “successi” di quella spedizione sono stati tanti, come il bombardamento del ponte di Grdelica ad opera dell’Us Airforce, il 12 aprile 1999, proprio mentre passava un treno (14 persone uccise e decine di feriti), quello sulle zone residenziali di Novi Pazar (31 maggio 1999, 23 morti), di Aleksinac (6 aprile 1999, 12 morti), di Pristina (25 marzo 1999, 12 morti), di Surdulica (27 aprile 1999, 20 morti) e su una corriera di Luzane (1 maggio 1999, 40 morti).

E ancora: le bombe sugli ospedali di Nis (7 maggio 1999, 13 morti), di Surdulica (30 maggio 1999, 20 morti) e di Belgrado (19 maggio 1999, 3 morti) e quelle sul villaggio di Korisa (14 maggio 1999, 80 morti) e sul ponte di Varvarjin (30 maggio 1999, 11 morti). Il 23 aprile 1999, fu anche un giorno nero per l’informazione, perché fu intenzionalmente colpita la stazione tv di Belgrado con tutti i lavoratori all’interno (16 morti).

Una primavera di sangue che qualche smemorato selettivo, evidentemente, ha rimosso da un calendario che vale solo per gli altri.


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