Cultura & Spettacolo

La poetica cromatica di Danila Di Ciolo

di Redazione -


di VERONICA B. MARINO
Per Danila di Ciolo il pennello é come una bacchetta magica da cui appaiono, su enormi tele, cromie muliebri. Queste ci riportano alla magnificenza dell’universo o all’imponente e immortale gola del Gran Canyon. Nei suoi quadri percepiamo proprio questo: l’impercettibilitá dell’infinito. E come tutto ciò che non possiede confini, ogni opera è intrisa di ossigeno allo stato puro. Non c’è arroganza; ogni tela deve essere appesa dall’acquirente nel modo che sente più suo, magari dopo un dialogo intimo e personale con la stessa. Colui che osserva deve comprendere e sentirsi compreso da ciò che vede e di conseguenza trattare l’ opera d’arte come uno specchio dentro cui riflettersi. Il lato che verrà sostenuto dal chiodo è solo un dettaglio. Con la sua innovativa tecnica, che rende ogni opera identica solo a se stessa, i colori sembrano quasi tuffarsi nella tela, con un vigore ed una vitalità che regalano alla pittrice una meritata riconoscibilità. Niente fa di lei un’esecutrice, niente nella sua arte è impeccabile. L’esecutore può fornirci l’ineccepibilitá ma il vero artista ci elargisce l’irripetibilità, seppure con sbavatura. Spesso l’artista ci induce a dialogare con il nostro io che, per paura o convenzioni, abbiamo relegato in un antro buio e introvabile. E lei pronta a giocare a nascondino, con la vita ma anche col pubblico, accetta anche questa sfida.
(ph: Christian Ciardella)


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