Cultura & Spettacolo

DENISE PARDO E QUELLA CASA SUL NILO

di Nicola Santini -


Si apre la prima pagina e non si finirebbe più di leggere il libro di Denise Pardo “La casa sul Nilo”. Un romanzo ad alto tasso di memoria, dove la giornalista racconta, attraverso una storia di famiglia, il suo vissuto di bambina costretta a lasciare la terra che amava. Dal Cairo a Roma, per sfuggire a un orrore che i genitori avevano già conosciuto. E che solo dopo mezzo secolo riesce a raccontare.

Chi sono i protagonisti del suo libro?
Le protagoniste sono varie e sono soprattutto delle donne. La protagonista occulta sono io, perché in realtà sono io la voce narrante e in fondo racconto la mia prospettiva e il mio vissuto. Mia mamma e mia nonna non lo avrebbero raccontato così.

Quanto le somiglia questa storia?
La storia è romanzata, c’è il vero e il verosimile, il probabile, sullo sfondo di quello che è davvero successo. I libri hanno delle anime, certi si scrivono da soli, tu diventi un mezzo. Una storia fatta di mille storie e non una autobiografia.

Perché solo adesso?
Ci sono state molte circostanze che mi hanno spinto a rimandare. Comunque è una storia che volevo scrivere 20 anni fa, me la sono portata dietro a mio fianco a braccetto, sotto il cuscino. Nella mia testa sapevo che l’avrei scritta prima o poi. Ma succedeva qualcosa che mi diceva che non era arrivato il momento. Poi l’ho scritta dopo che è morta mia madre, che in fondo era l’ultima testimone di quegli anni. Io non ero a mio agio quando loro c’erano. Ho ritrovato segni, registrazioni di mio padre, e ho capito che era quello il momento, era iniziato il lockdown e gli alibi si erano azzerati. L’ho scritto allora. Ma è come se lo avessi scritto 20 anni prima.

Descrive un mondo che è cambiato, e una fuga “giusto in tempo”
In un altro momento sarebbe stata una fuga molto più rocambolesca. Ma siamo rimasti fin che abbiamo potuto. Tanti che conoscevano i miei avevano iniziato già dai primi anni ’50, ad andarsene, salvando il salvabile. Noi siamo usciti per il rotto della cuffia, c’era una volontà di non vedere cosa stesse cambiando. I miei avevano vissuto dei tali cambiamenti da non accettare che anche questa volta sarebbe stato quando non se ne poteva più fare a meno.

Da cosa dobbiamo scappare oggi?
Da una società che è il contrario di quello che ho raccontato, anche se da una prospettiva di particolare privilegio, da stranieri che vivevano e guadagnavano bene, anche se le diseguaglianze erano enormi. Però quello che era dorato, prezioso, era questa capacità di far convivere la diversità, che era un valore nella scuola già nell’asilo francese dove andavo. Era proibito tollerare, nella tolleranza c’è qualcosa di benevolo, di concessione. Per cui non era accettabile, tollerare, la sola cosa era rispettare. Una società di vasi comunicanti dove si prendeva gli uni dagli altri. Non contava essere di nazionalità, cultura e religione, diversa. Non costituiva un confine, un limite una posizione di difesa.

La storia insegna o si ripete?
La storia si ripete, non insegna. Dovrebbe ma non ci riesce, perché poi la natura umana è la stessa da sempre.


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