Massacro jihadista in Niger: 44 morti in una moschea
Quarantaquattro persone sono state uccise in un attacco terroristico a una moschea in Niger durante le preghiere pomeridiane di ieri. Ad annunciarlo sono state le autorità del Paese, precisando che la responsabilità dell’attacco deve essere attribuita ai membri del gruppo Stato Islamico nel Grande Sahara che hanno circondato l’edificio ove si svolgevano le preghiere del venerdì per poi massacrare i fedeli che vi si erano raccolti. Altre tredici persone sono rimaste ferite, quattro delle quali in modo grave.
L’attacco è avvenuto a Fombita, nel comune rurale di Kokorou ubicato nella regione sud-occidentale del Tillabéri, che confina con il Mali e il Burkina Faso, un confine tra i tre Stati che è da tempo una roccaforte dei gruppi terroristici islamici ed è considerato uno dei più pericolosi del mondo. Ciò, in uno Stato ove più del 99% dei circa 28 milioni di abitanti sono musulmani. I militanti hanno circondato la moschea, compiendo un “massacro di rara crudeltà”, e poi hanno incendiato un mercato e alcune abitazioni prima di ritirarsi.
In risposta all’attacco, il governo del Niger ha dichiarato tre giorni di lutto nazionale. L’evento si inserisce nel contesto di una più ampia insurrezione jihadista nella regione del Sahel, che ha portato centinaia di migliaia di morti e milioni di sfollati negli ultimi anni.
Molteplici i fattori che motivano questa storica insurrezione. I gruppi jihadisti mirano a stabilire uno Stato islamico basato sulla legge shari’a, cercando di imporre un modello di società alternativa a quello esistente, nel quale individuano élite politiche locali da abbattere perché come corrotte e inefficienti, cercando di sostituirle con un sistema basato sulla loro interpretazione dell’Islam. Da sottolineare, pure, che la regione del Sahel è storicamente caratterizzata da estrema povertà e marginalizzazione economica, che favoriscono il reclutamento di persone disperate e insoddisfatte nello Stato Islamico.
In tale situazione, la corruzione endemica e la debolezza delle istituzioni statali creano un vuoto di potere che i gruppi jihadisti sfruttano per espandersi e facilmente animare le loro azioni anche in considerazione di quella chew gli analisti definiscono la “porosità dei confini”, facilmente attraversati dal movimento di gruppi armati e dal traffico di armi e merci illegali che sfruttano, per i loro interventi, pure le tensioni etniche e i conflitti per le risorse che dividono le comunità dei Fulani e dei Tuareg.
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