Attualità

Se lo zio Sam continua a rimanere un punto di riferimento per la Vecchia Europa

di Alberto Filippi -


Vabbè che siamo a 2.500 chilometri dal confine e certe paure che si registrano nei Paesi confinanti, pensiamo ai Baltici e agli Scandinavi, a noi giungono attutite. Ma il piano messo in piedi dalla Commissione europea per le crisi climatiche e soprattutto militari, con cibo e medicine da utilizzare nei primi tre giorni in caso di guerra, mette i brividi. Anche se quello che solo tre anni fa sembrava un pericolo esagerato, perlopiù buono per i film catastrofici, adesso è diventato un timore potenziale tanto che la belga Hadja Lahbib, commissaria europea per la preparazione, la gestione delle crisi e l’uguaglianza nella Commissione von der Leyen II, sottolinea in un’intervista che la Ue è pronta a sostenere gli Stati membri nel realizzare una “borsa delle resilienza”, affinché tutti i cittadini dell’Unione siano pronti a essere autonomi per almeno 72 ore in caso di calamità militare o naturale. In pochi mesi il sentimento europeo è cambiato. Al di là di quello che possiamo pensare noi italiani, c’è una parte dell’Europa, pensiamo alla Polonia, che ha impresso una svolta alla propria visione della storia legata alla contemporaneità. Fa molto riflettere tutto questo, perché davvero all’improvviso sembrano risuonare parole d’ordine sinistre, mentre dopo tre anni America e Russia si stanno avvicinando per cercare di comporre una pace che coinvolga un’Ucraina non umiliata, anche se battuta. Sconfitta ancorché non umiliata, perché i russi hanno occupato “solo” il 20% del territorio di Kiev. Mentre all’orizzonte si lavora per una tregua energetica e marittima con la Russia che chiede di attenuare le sanzioni perché dopo tre anni di guerra anche l’economia di Mosca è in grossa difficoltà, il rapporto tra Washington e Bruxelles si è fatto molto complicato. Non passa giorno senza che l’amministrazione americana accusi l’Unione europea di essere una zavorra per i suoi interessi. Continuo a pensare, con ottimismo, che le relazioni con gli Stati Uniti rimarranno strategiche e che al di là dei dazi prevarrà un sentimento di collaborazione tra le due sponde dell’Atlantico, che mal si sintetizza con la visione che l’Europa scroccona, perché se è vero che dobbiamo molto all’America a stelle e strisce, è altrettanto vero che il mercato dell’Unione è un formidabile vettore mondiale in grado di assicurare un approdo anche alle merci prodotte negli Usa. Continuo a credere che non si stanno scrivendo gli ultimi capitoli della globalizzazione, perché per quanto pochi uomini possano pensare di riportare indietro le lancette dell’orologio a un’epoca in cui il mondo era suddiviso a blocchi e in sfere d’influenze, oggi prevalgono forze centripete – pensiamo alla Cina e all’India, per non parlare delle altre economie del sudest asiatico – che fungeranno da calmiere alle aspettative imperiali di Mosca e Washington. Stringere accordi con l’amministrazione Trump è nella logica delle cose per noi europei, così come ridefinire le regole della difesa è diventato una necessità a fronte del parziale disimpegno statunitense. Una partita economico militare assai complicata, perché nessuno può pensare di giocare con i dadi della storia ed essere in grado di assecondare con certezza il risultato. Non so se sarà l’ultimo treno per Bruxelles oppure se davvero l’America vuole ridimensionare il proprio impegno in Europa, di certo i piani-choc con le provviste per 72 ore sono la cartina di tornasole di un mondo che sta cambiando velocemente e mina le nostre certezze anche economiche, costruire in decenni di perseveranza. Consapevoli però che senza lo zio Sam il Vecchio Continente sarà più povero e affronterà le difficoltà con meno prosopopea rispetto al passato. Cosicché Putin potrebbe continuare a rimanere uno spauracchio per il bastione orientale.


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