La criminologa Cortese: “I ragazzi vivono in una terra di mezzo emotiva”
Intervista alla criminologa Antonella Cortese, autrice del libro “Ombre Adolescenziali”: “I ragazzi vivono in una terra di mezzo emotiva”
Sempre più giovanissimi affascinati dalle armi da fuoco e dalla violenza alimentata da quei cattivi maestri che sono i trapper e gli influencer. C’è un filo rosso che lega le ultime tragedie e i fatti di cronaca che coinvolgono adolescenti con le devianze giovanili causate da una serie di fattori critici, come l’abuso di alcol e droga, la mitizzazione del crimine e il fascino del potere delle pistole. È quest’ultimo che ha causato la morte di un 13enne a Roma, che la sera di sabato scorso ha preso la pistola del fratello maggiore e ha tentato di rimontarla con l’aiuto di un video tutorial trovato sui social. Da quell’arma, però, è partito il proiettile fatale, che l’ha raggiunto alla testa e non gli ha dato scampo.
Ad analizzare in esclusiva con L’identità le pulsioni e le motivazioni alla base del drammatico gesto che è costato la vita al ragazzino del quartiere San Paolo è la criminologa e psicologa Antonella Cortese, da anni impegnata nel sociale e nell’approfondimento di tematiche che riguardano la violenza di genere e le devianze giovanili. Tanto che, nel suo ultimo libro Ombre adolescenziali, analizza le problematiche interne ed esterne che pesano sulla formazione dei ragazzi e, avvalendosi di una serie di contributi di esperti tra poliziotti e professionisti dell’informazione, fornisce quegli strumenti necessari alle famiglie per poter individuare l’insorgere delle devianze e intervenire in aiuto dei figli prima che sia troppo tardi.
“Di fronte alla tragedia di Roma non possiamo limitarci a parlare solo di fatalità”, garantisce la dottoressa Cortese. “È necessario, invece, accendere una luce sulle ombre più profonde dell’adolescenza, quelle che tratto nel mio libro Ombre Adolescenziali, in cui analizzo il crescente fenomeno delle devianze giovanili, ma anche la fragilità psicologica e la mancanza di strumenti educativi adeguati per affrontare questa delicata fase della vita”, sottolinea. Per Cortese, che ha analizzato i fatti che hanno portato alla morte del 13enne e che non mostrano segnali di un gesto volontario, “il semplice fatto che un ragazzo così giovane sia entrato in contatto con un’arma, verosimilmente lasciata incustodita, ci interroga sul senso di responsabilità adulta, sulla presenza reale non solo fisica delle figure genitoriali, e sulla necessità urgente di una cultura della sicurezza e della prevenzione. Nella mia esperienza clinica e nelle ricerche che ho condotto”, precisa la criminologa, “emerge chiaramente come i ragazzi oggi vivano in una sorta di ’terra di mezzo’ emotiva: troppo grandi per essere protetti come bambini, ma ancora troppo piccoli per gestire strumenti fisici e digitali carichi di potenziale distruttivo. In questi contesti, l’imitazione, la curiosità, la necessità di sentirsi grandi o padroni di qualcosa possono diventare micce pericolose”.
Cortese spiega infatti che “è per questo che la devianza non è solo un atto deliberato, ma anche una deriva silenziosa fatta di assenze: assenza di supervisione, di dialogo, di confini chiari. Il fatto che si stia analizzando il cellulare del ragazzo è emblematico: i dispositivi digitali oggi sono estensioni della loro identità, luoghi in cui si costruisce o si sgretola la percezione di sé. Non si tratta di colpe, ma di responsabilità condivise tra famiglia, scuola e società”. E l’evento tragico che è accaduto al ragazzino di San Paolo “deve farci riflettere, al di là del singolo caso, su quanto oggi l’adolescenza sia diventata una fase sempre più complessa, in cui il rischio anche estremo può manifestarsi in forme che non sempre vengono comprese in tempo. Educare, ascoltare, prevenire: sono queste le parole chiave su cui dobbiamo tornare a investire”, conclude la criminologa Cortese.
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