Editoriale

Ora ci vuole un Papa per i cristiani più vicini

di Adolfo Spezzaferro -


Non è ancora finito il coro dei politici che si intestano l’eredità di Papa Francesco, che assicurano fosse uno di loro, che già s’intona una nuova litania su come dovrà essere il successore di Bergoglio. Fa sorridere che certi esponenti della sinistra, così come i loro maître à penser, prendano così a cuore la vicenda e invochino un papato che prosegua il cammino intrapreso da Francesco. Fa sorridere perché nel Conclave, come è noto, è lo Spirito Santo a ispirare i cardinali elettori, non i quotidiani o i segretari di partito. Abbiamo letto che Bergoglio ha avuto contro di sé i sovranisti, la destra, chi fa la guerra all’immigrazione et similia. Questo, secondo un qualche automatismo, significherebbe che il Papa argentino è stato un paladino della sinistra. Anche questa lettura fa sorridere: la Chiesa non è un’Ong né lo sarà mai, i Papi non sono né di destra né di sinistra, sono il vicario di Cristo, e fanno il loro lavoro: quindi sono per la pace, per l’accoglienza, per la solidarietà, per la fratellanza dei popoli. Questo non significa essere di sinistra ma essere uomini di fede – figuriamoci il capo della cristianità. Peraltro Francesco ha invocato in nome di Dio la pace ma nessuno gli ha dato retta, compresi quelli di sinistra che vogliono che la guerra in Ucraina prosegua a oltranza. Il punto invece non è chi sarà il nuovo Pontefice, ma come saprà affrontare le sfide che si pongono alla Chiesa. Come ha ricordato il cardinale Camillo Ruini, però, al centro della Chiesa c’è Cristo, non il Papa. «Alla morte di Wojtyla la gente urlava “santo subito”, mentre alla morte di Bergoglio ha urlato “grazie Francesco”. Ecco, se viene messa in ombra la dimensione trascendente non si rende un buon servizio alla Chiesa», è il monito Ruini, troppo anziano (94 anni) per entrare nella Sistina il 7 maggio. In un colloquio con il Corsera, l’ex presidente della Cei, spiega qual è l’obiettivo da raggiungere: «Bisogna restituire la Chiesa ai cattolici, mantenendo però l’apertura a tutti», ha aggiunto, sottolineando che «i funerali hanno dato l’impressione che si sia risolto il problema principale del pontificato, quello cioè della divisione della Chiesa, che in qualche modo coinvolgeva lo stesso Bergoglio. Purtroppo la divisione è rimasta, con il paradosso per cui favorevoli a Francesco sono per lo più i laici mentre contrari sono spesso i credenti». Un paradosso, a ben vedere. La Chiesa infatti è sì nel mondo e nel tempo ma in una dimensione spirituale ed eterna: i Papi passano, la fede resta, insomma. Bergoglio, ha proseguito Ruini centrando il punto, «con un’intenzione missionaria si era rivolto soprattutto a quanti erano distanti, con modalità che hanno irritato chi per anni si era speso a difendere le posizioni cattoliche. Francesco è sembrato cioè privilegiare i lontani a scapito dei vicini. È un gesto evangelico. Ma come nella parabola del figliol prodigo l’altro figlio protestò, così oggi c’è chi protesta nella Chiesa». Anche Ruini fa (benissimo) il suo lavoro di principe della Chiesa ma il messaggio è chiaro: urge un Papa che sia espressione della Curia romana, che non alimenti quella spaccatura interna acuita da Bergoglio ma che anzi provi a saldarla. E ci vuole un Papa che si rivolga soprattutto ai cristiani e a quelli più vicini: italiani, europei, occidentali. Perché è in questa parte e visione del mondo che la fede è in crisi, non altrove.


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