Attualità

PRIMA PAGINA – Il mondo che fa la guerra piange il Papa che voleva la pace

di Marina Cismondi -


Fra i potenti del mondo che hanno commemorato, magnificandone l’operato, Papa Francesco e sono accorsi al suo funerale, quanti di loro, nei suoi 12 anni di pontificato, hanno dato ascolto ai suoi ininterrotti appelli al disarmo ed alla pace? Risposta scontata: nessuno. “Ci sono sistemi economici – affermava il Pontefice, già nel lontano 2014 – che per sopravvivere devono fare la guerra. Allora si fabbricano e si vendono armi e così i bilanci delle economie che sacrificano l’uomo ai piedi dell’idolo del denaro ovviamente vengono sanati. E non si pensa ai bambini affamati nei campi profughi, non si pensa ai dislocamenti forzati, non si pensa alle case distrutte, non si pensa neppure a tante vite spezzate”. Appelli che si sono ripetuti più e più volte, anche a poche ore dalla sua morte: “Nessuna pace è possibile senza un vero disarmo. L’esigenza che ogni popolo ha di provvedere alla propria difesa non può trasformarsi in corsa generale al riarmo.”
“L’eredità di Papa Francesco continuerà a guidarci tutti verso un mondo più giusto, pacifico e compassionevole”, ha scritto su X la presidente della Commissione UE Ursula von der Leyen, il giorno della scomparsa di Bergoglio. Impossibile conciliare questo tweet con il discorso della presidente dello scorso marzo, dichiarazioni che sicuramente sono state musica per le orecchie dei produttori bellici, non per il Papa. “Non ho bisogno di descrivere la gravità delle minacce che affrontiamo. Né le conseguenze devastanti a cui andremmo incontro se queste minacce si materializzassero. È tempo di riarmo. E l’Europa è pronta ad aumentare massicciamente la spesa per la difesa. Il piano “ReArm Europe” potrebbe mobilitare quasi 800 miliardi di euro per un’Europa sicura e resiliente. L’ora dell’Europa è suonata”. Questi sono alcuni stralci del discorso di Ursula. Mancava solo un elmetto ben calato sull’impeccabile messa in piega. In poche parole, l’Europa è minacciata (da chi?) con conseguenze potenzialmente disastrose. È indispensabile investire centinaia di miliardi nella difesa aerea e missilistica, nei sistemi di artiglieria, missili, droni munizionati e sistemi antidroni. E si usino tranquillamente i fondi destinati all’ambiente, al sociale, alla mobilità e all’innovazione. Investimenti abnormi per dotarci di una indispensabile difesa, secondo la von der Leyen, che andranno ad aumentare ricavi dei produttori del settore, che nell’ultimo quinquennio, rispetto al quinquennio precedente, avevano già visto più che raddoppiare l’importazione di armi da parte dei membri europei della Nato. Gli Stati Uniti hanno fornito il 64% di queste armi, gli altri principali fornitori sono stati la Francia e la Corea del Sud, la Germania e Israele. Dati esplicitati nell’ultimo rapporto dello Stockholm International Peace Research Institute (Sipri), l’istituto internazionale indipendente dedicato alla ricerca su conflitti, armamenti pesanti e disarmo.
Secondo questo rapporto, enorme balzo in avanti anche dell’Italia, passata dal 10° al 6° posto fra gli esportatori di armi pesanti, con un incremento del 138%, per un fatturato di decine di miliardi, concentrato in poche aziende. Primeggiano Leonardo e Fincantieri (aziende entrambe controllate dal Ministero dell’Economia, proprietario della maggioranza delle loro azioni), che insieme rappresentano circa l’80% del fatturato dell’industria militare in Italia. Per Leonardo la stragrande maggioranza del proprio fatturato deriva dalla produzione di sistemi di difesa e sicurezza, aerei ed elicotteri. Le sue azioni sono passate da un valore di Borsa di 4,70 euro di 5 anni fa a 26 euro ad inizio 2025, per poi schizzare intorno ai 45 euro dopo il discorso della von der Leyen. Fincantieri sta incrementando la produzione di navi da guerra, ormai vicina al 40% del proprio fatturato. Anche le sue azioni, che valevano 5 anni fa meno di 4 euro, hanno superato i 10 euro post presentazione del piano di riarmo europeo. Il controllo sulle esportazioni di armi è delegato al Governo, ma è di questi mesi la discussione della revisione della legge che, da trent’anni, ne stabilisce le regole, revisione che – se approvata – renderebbe meno efficaci i controlli sulle forniture di armi a paesi in guerra o che violino i diritti umanitari. Anche se già attualmente non è raro riscontrare vendite a paesi non belligeranti che poi veicolano le armi in altri stati, senza possibilità di controlli. E può un Governo controllare obbiettivamente ed efficacemente le esportazioni di armi che produce in aziende di cui è proprietario?
L’unica cosa indubbia è che la domanda di Papa Francesco “A che serve impegnarci tutti insieme, solennemente, a livello internazionale, nelle campagne contro la povertà, contro la fame, contro il degrado del pianeta, se poi ricadiamo nel vecchio vizio della guerra, nella vecchia strategia della potenza degli armamenti, che riporta tutto e tutti all’indietro?” non ha avuto la risposta che lui sperava dall’Unione Europea. Fortunatamente lo scorso 23 aprile la Commissione Affari Giuridici dell’Eurocamera ha bocciato la procedura d’urgenza utilizzata dalla presidente von der Leyen per velocizzare il via libera allo strumento in grado di attivare investimenti in armi fino a 800 miliardi di euro. Procedura richiesta per bypassare la discussione nel Parlamento Europeo ed evitare emendamenti al suo piano di riarmo. Non è ancora il blocco totale del progetto “ReArm Europe”, ma potrebbe essere un primo passo per frenare progetti guerrafondai. La morte del Papa – inascoltato, criticato ed osteggiato da vivo ed elogiato solo da morto – ci si augura possa smuovere coscienze e rafforzare la lotta per il disarmo e la pace di chi non si vuole assuefare alle atrocità, alle devastazioni, ai corpi di donne e bambini straziati dalle bombe. Più probabile, purtroppo, che i potenti, finito il cordoglio di facciata, in tanti tireranno un sospiro di sollievo.


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