6 maggio 1976: il terremoto che mise in ginocchio il Friuli
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Il 6 maggio 1976, alle ore 21:00, il Friuli fu scosso da un sisma devastante. L’epicentro si trovava nella zona tra Gemona del Friuli, Venzone e Osoppo, ma l’intero territorio regionale, e in particolare la provincia di Udine, fu profondamente colpito. Il terremoto raggiunse una magnitudo di 6.5 della scala Richter (pari a 9° della scala Mercalli). In quell’interminabile minuto vennero distrutte case, chiese, scuole, monumenti storici, interi borghi. Morirono 989 persone, oltre 100.000 rimasero senza tetto, 45.000 abitazioni furono danneggiate o rase al suolo. Ma ciò che rende unica questa tragedia nella storia italiana non è solo la sua portata distruttiva, bensì la straordinaria risposta del popolo friulano.
Fin dalle prime ore dopo il sisma, i friulani mostrarono al mondo il significato della parola “resilienza”. Mentre i soccorsi arrivavano – in parte in ritardo a causa della mancanza di un coordinamento nazionale – furono proprio gli abitanti, le famiglie, i sindaci, i parroci e i volontari locali ad attivarsi, scavando tra le macerie, accogliendo i feriti e organizzando le prime tendopoli. Il senso civico e la disciplina del popolo friulano furono evidenti fin da subito, nessun saccheggio, nessun disordine, solo lavoro, lacrime e una dignità silenziosa ma potente.
Dopo le prime scosse, ne seguirono molte altre, a settembre, un’altra forte scossa colpì il Friuli, con epicentro tra Trasaghis e Forgaria nel Friuli. Nonostante ciò, il progetto di ricostruzione non si fermò. Anzi, fu proprio in quel contesto che prese forma uno dei piani di ricostruzione più efficaci e trasparenti mai visti in Italia.
Il merito fu di una strategia chiara, le risorse arrivarono direttamente ai comuni, attraverso un modello di autogestione decentrata, senza la mediazione ingombrante di enti statali o commissari straordinari. Il motto divenne “Dove era e com’era”, con l’obiettivo non solo di ricostruire le case, ma di restituire ai borghi la loro identità storica e architettonica. Venzone, rasa al suolo dal sisma, fu ricostruita pietra per pietra, diventando simbolo della rinascita e vincendo nel 2017 il titolo di “borgo dei borghi”.
Fu proprio da questa tragedia che nacque una delle più importanti istituzioni italiane: la Protezione Civile. La sua istituzione rispose all’urgenza di un sistema coordinato e strutturato per affrontare le emergenze. La Protezione Civile italiana nacque dall’urgenza di una risposta più efficace alle catastrofi. Fu il dolore del Friuli nel 1976 a dare il primo impulso, e fu il dramma dell’Irpinia nel 1980 a renderla una necessità strutturale. Da allora è diventata un modello di efficienza e solidarietà, apprezzato anche a livello internazionale. Oggi è un pilastro nella gestione delle emergenze, sia in Italia che all’estero.
La ricostruzione durò circa dieci anni e impiegò oltre 5.000 miliardi di lire dell’epoca, ma ogni lira fu spesa con rigore, grazie anche al controllo esercitato dai sindaci, veri protagonisti della rinascita. Nessun episodio di corruzione grave, nessuna infiltrazione mafiosa, il Friuli dimostrò che si può ricostruire nel rispetto delle regole, delle persone e della memoria.
Oggi, 6 maggio 2025, a 49 anni dal sisma, il Friuli si ferma per ricordare. Si fermano i campanili ricostruiti, le scuole riaperte, le piazze rinate. Si fermano per onorare i morti, ma anche per celebrare i vivi, quelli che non hanno mai abbandonato la loro terra, che hanno lavorato in silenzio, mattone dopo mattone, riportando la vita laddove era calata la morte.
Il Friuli non è solo un esempio di resilienza, è una lezione civile e morale che l’Italia non deve mai dimenticare. Una terra orgogliosa, sobria, concreta. E oggi, davanti alla memoria, fermarsi e riflettere non è solo doveroso, è un atto di rispetto.
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