Giustizia

Intervista a Donato Capece, segretario del SAPPE

di Giuseppe Ariola -


“Nelle carceri c’è ancora tanto da fare, ma senza abbassare l’asticella della sicurezza e della vigilanza, senza le quali ogni attività trattamentale e rieducativa è fine a sé stessa e, dunque, non organica a realizzare un percorso di vera rieducazione del reo”. Ne è convinto Donato Capece, segretario generale del Sappe, il sindacato della Polizia Penitenziaria.

Possibile non si riesca ad assicurare un numero di agenti adeguato alle esigenze?

“Nelle carceri si vive una situazione che è la diretta conseguenza di una costante tensione legata a due fattori: da un lato il progressivo aumento delle presenze tra i detenuti (erano 62.45 i presenti alla data del 30 aprile scorso a fronte di una capienza regolamentare di circa 51mila posti letto) e dall’altro dalla organizzazione interna dei penitenziari basata sulla vigilanza dinamica ed il regime aperto, accentuata da una significativa presenza di detenuti stranieri (quasi 20mila). In questo contesto, gli organici attuali del Corpo risentono di significative carenze in relazione al giusto ampliamento dei compiti istituzionali affidati alla Polizia Penitenziaria nell’intero ambito dell’esecuzione penale, e quindi non solo per i servizi interni al carcere, ma anche perché le nuove assunzioni non sono ancora pari al numero dei pensionamenti e delle riforme del servizio, anche alla luce dell’ampliamento dei compiti istituzionali dei Baschi Azzurri, dai servizi interni al carcere agli ‘extra moenia’, dai piantonamenti, dalle specializzazioni del Corpo all’area penale esterna”.

Lei ha posto il tema del sovraffollamento, come si potrebbe risolvere?

“Servirebbero interventi strutturali che restituiscano la giusta legalità al circuito penitenziario intervenendo in primis sul regime custodiale aperto. E la via più netta e radicale per eliminare tutti questi disagi è quella di un ripensamento complessivo della funzione della pena e, al suo interno, del ruolo del carcere: certo non indulti o amnistie. Si potrebbe, ad esempio, ipotizzare un nuovo sistema penitenziario articolato su tre livelli: il primo, per i reati meno gravi con una pena detentiva non superiore ai 3 anni, caratterizzato da pene alternative al carcere, quale è l’istituto della ‘messa alla prova’; il secondo livello è quello che riguarda le pene detentive superiori ai 3 anni, che inevitabilmente dovranno essere espiate in carcere, ma in istituti molto meno affollati per lo sgravio conseguente all’operatività del primo livello e per una notevole riduzione dell’utilizzo della custodia cautelare. Il terzo livello, infine, è quello della massima sicurezza, in cui il contenimento in carcere è l’obiettivo prioritario. Occorre dunque che lo Stato indichi le condotte per le quali non è necessario il carcere, ipotizzando sanzioni diverse, ridisegnando in un certo senso l’intero sistema. E la Polizia penitenziaria è sicuramente quella deputata al controllo dei soggetti ammessi alle misure alternative”.

Nuovi reati e inasprimento delle pene di quelli già esistenti non aiutano certamente a risolvere la questione. Quale è la posizione del Sappe?

“Non entro nel merito di competenze del Parlamento o del Governo, se non per rilevare che la materia penale e la risposta dello Stato risentono inevitabilmente dell’attualità. Piuttosto, è solo la costrizione fisica in carcere la risposta alla criminalità e alla delinquenza? No, e noi lo diciamo da vent’anni: per il SAPPE il carcere così come è strutturato oggi in Italia va cambiato. Non ha senso tenere in carcere pochi mesi persone, magari per reati lievi. Piuttosto si ragioni sull’impiego di questi detenuti in progetti di recupero del patrimonio ambientale e in lavori di pubblica utilità, altra battaglia del SAPPE motivata dalla necessità concreta di dare davvero un senso alla pena detentiva. Noi crediamo che sia davvero giunta l’ora di affidare al Corpo di Polizia Penitenziaria gli uomini ed i mezzi necessari per assicurare il controllo dei detenuti ammessi a misure alternative, area penale esterna, permessi premio: parliamo di più di 110mila persone coinvolte nell’esecuzione della pena in Italia. È fondamentale potenziare i presidi di polizia sul territorio – anche negli Uffici per l’Esecuzione Penale esterna – per farsi carico dei controlli sull’esecuzione delle misure alternative alla detenzione, delle ammissioni al lavoro all’esterno, degli arresti domiciliari, dei permessi premio, sui trasporti dei detenuti e sul loro piantonamento in ospedale. E per farlo, servono nuove assunzioni. La sicurezza dei cittadini non può essere oggetto di tagli e non può essere messa in condizione di difficoltà se non si assumono gli Agenti di Polizia Penitenziaria”.

La vita degli agenti penitenziari è un po’ come quella di reclusi tra i detenuti…

“Beh, è importante distinguere tra chi in carcere rappresenta lo Stato e chi invece, fatto salvo il diritto alla presunzione di innocenza, le leggi dello Stato le ha violate…  La Polizia penitenziaria svolge un lavoro prevalentemente al chiuso. La sua eccezionalità sfugge allo sguardo dei cittadini ma, come ha anche autorevolmente ricordato il Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, è chiamata quotidianamente a fronteggiare difficili situazioni di tensione e sofferenza, sempre più frequenti a causa del grave fenomeno di sovraffollamento. Determinante è il contributo delle donne e degli uomini del Corpo all’attuazione del principio costituzionale della funzione rieducativa della pena per il possibile reinserimento nella vita sociale dei detenuti, nonostante le assai critiche condizioni del sistema carcerario. Ed è solamente grazie ai poliziotti penitenziari, gli eroi silenziosi del quotidiano a cui va il ringraziamento del SAPPE, se la scorsa notte di follia a Uta è comunque stata fortunatamente contenuta. Se il carcere è, in qualche misura, la frontiera ultima, la più esposta del sistema-giustizia, all’interno del sistema carcerario il personale di Polizia penitenziaria costituisce la barriera estrema. Siamo noi quelli che stanno in prima linea, che stanno nelle sezioni detentive, che stanno in contatto quotidiano con i detenuti 24 ore su 24, 365 giorni l’anno, quelli cui viene affidato un compito indubbiamente più complesso rispetto alle altre Forze di polizia. E’ necessario metterlo in evidenza, perché la rivendicazione del ruolo, del significato, del prestigio e dell’importanza del Corpo di Polizia penitenziaria, di una sua professionalità crescente, di una sua dignità sempre più alta, deve partire dalla considerazione della specificità dei nostri compiti istituzionali”.


Torna alle notizie in home