Il Teatro e il vino: quando l’errore crea la bellezza
Eugenio Barba parlando del Teatro scriveva: “Qui chiunque può cavalcare la propria “differenza”, può scoprirla e rafforzarla, senza soffocare quella degli altri”, e continuava: “spesso, l’origine di un cammino creatore è una ferita”. Ferita emotiva, o fisica come nel caso del poeta francese Joë Bousquet, che passò gran parte della sua vita paralizzato per via di un incidente in battaglia durante la prima guerra mondiale: “La mia ferita ha veramente realizzato il mio benessere dispensandomi dal pensare a me”. L’unicità dell’errore, di una ferita, è un moto per il cambiamento. Concetto che ritroviamo anche in oriente grazie all’imperatore giapponese Yoshimasa, indirettamente inventore del Kintsugi (lett. “ricongiungere con l’oro”). Sulla natura fallibile dell’essere umano Pascal si esprime così: “Che chimera è dunque l’uomo, che novità, che mostro, che caos, che soggetto di contraddizione, che prodigio! Giudice di tutto, vermiciattolo della terra, depositario del vero, cloaca di incertezza e di errore, gloria e rifiuto dell’universo!”. Incertezze ed errori fanno parte del processo evolutivo e sono proprie del Teatro. È soprattutto nel secolo scorso che il Teatro si è preso questo ruolo, portavoce di esseri fallibili, feriti e imperfetti. Scrive il critico teatrale Fabrizio Cruciani “Il teatro del Novecento è stato la ricerca d’una possibilità: che il teatro abbia senso. La ricerca per fuggire da una cultura fatta di risposte e conquistarsi una cultura fatta di domande. La necessità di conoscere le ferite che la vita della società contemporanea apporta a ciascun individuo, di riconoscerle e non nasconderle, non coprirle: riconoscerle e usarle come forza”. È ormai provato scientificamente che accogliere questi processi abbia un impatto significativo sull’essere umano da un punto di vista pedagogico. Il neurofisiologo Berthoz scrive: “una tendenza diffusa in natura è accogliere l’imprevisto, adattarvisi, ma anche cercare nuove soluzioni a problemi sempre nuovi”. L’essere umano è in realtà programmato per avere problemi, perché è capacissimo a risolverli. Il Teatro valorizza gli errori, incoraggia gli sbagli, allena all’imprevisto. Prima dell’allestimento di uno spettacolo infatti si tengono le cosiddette prove. Un lungo viaggio che ha bisogno dell’errore per la riuscita. Grotowski nel suo libro “Per un Teatro povero” scrive: “L’attore deve avere la presenza di spirito di inserire rapidamente nella struttura del ruolo qualsiasi sbaglio commesso involontariamente durante la rappresentazione. Anziché fermarsi o riprendersi, deve continuare sfruttando tale errore come un effetto voluto. Per esempio, se un attore pronuncia male una parola, non si deve correggere ma ripetere tale pronuncia sbagliata in altre parole di altre battute, in modo che lo spettatore la creda un effetto compreso nella struttura di un ruolo. Questa tecnica esige la padronanza dei propri riflessi e anche una qualità improvvisatrice”. Il regista Luca Vullo parla di “diritto all’errore”. Lo stesso che si sarà concesso Riccardo Parisio inventore del “Santa Cecilia”, un vino liquoroso nato per errore durante il processo di acetificazione. Invece di avviare subito la trasformazione acetica del mosto cotto, come avviene nell’aceto tradizionale, il liquido fu dimenticato abbastanza a lungo da avviare una fermentazione alcolica spontanea, grazie ai lieviti naturalmente presenti. Il risultato è un vino liquoroso, acetico, dolce e ossidato, con note di legno e miele. Un ibrido unico tra vino, aceto e liquore, nato da un errore e divenuto un prodotto identitario. Intitolato così come regalo alla moglie, Cecilia Zangari. Fieramente esposto nella loro bottega “Soccia”. È una storia d’errore, e d’Amore. Del resto, anche il vino è nato dalle ferite. Le ferite di Ampelo, il giovane amato da Dioniso, dio del Teatro.
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