LIBERALMENTE CORRETTO – Il registro elettronico danneggia studenti, insegnanti e genitori
La scuola italiana è a pezzi. Il percorso demolitivo è stato lungo, ma infine fruttuoso. Del modello ammirato in tutto il mondo è rimasto ben poco. Sono stati demoliti tutti i pilastri e sono rimaste solo le macerie. Nel ‘68 vi ha fatto ingresso l’egualitarismo “politicamente corretto”, demotivando progressivamente lo sforzo dell’apprendimento; la residua meritocrazia è poi scomparsa del tutto grazie al pietismo burocratico, che si è ingegnato di scovare tutti i “disagi” di questa terra (chiamati in burocratese BES e DSA), per giustificare i ritardi cognitivi degli studenti e allinearli al basso; infine è stata introdotta la perla del registro elettronico, che in un colpo solo ha fatto fuori il principio stesso dell’insegnamento: l’autorità del docente nell’interesse del discente. Al contempo, è stata rimpicciolita l’autorità dei genitori, istituzionalmente “invitati” a compiacere i figli. Gli effetti perversi di questo modello pedagogico sono stati evidenziati dal celebre psichiatra Crepet, che chiede l’abolizione del registro elettronico, “simbolo di un controllo eccessivo che soffoca gli alunni”, in forza del quale “i genitori, sempre più protettivi e ansiosi, invadono la scuola, minando l’autorità degli insegnanti”. C’è ben poco da aggiungere.
ùC’è solo da interrogarsi sulle radici culturali dello sfacelo, il cui humus azzardiamo possa risiedere in un nefasto equivoco lessicale-concettuale. La parola “autorità” traduce due concetti molto diversi, ben distinti dai nostri padri mediante l’uso di due parole: auctoritas e potestas. La prima, derivante dal verbo augeo (accrescere), mira appunto all’accrescimento; designa la condizione del soggetto, onerato di un compito educativo e di tutela, il quale esercita autorità morale nei confronti del beneficiario, per l’autorevolezza del suo sapere. Ben diversa è la potestas, che designa l’esercizio del potere politico, fondato sulla coercizione, al cui cospetto non si pone il beneficiario dell’accrescimento, bensì il suddito. Inoltre il territorio nel quale si esercitano l’una e l’altra è molto diverso. L’auctoritas è destinata per sua natura ai rapporti di tipo privatistico, dove vigono norme sociali ed etiche e non già norme giuridiche assistite dall’apparato sanzionatorio; al contrario la potestas si esercita nei rapporti di sovraordinazione-subordinazione, appartenenti all’ordine politico, regolato da norme giuridiche vincolanti e fatte valere, eventualmente, per via giudiziaria. I due territori sono concettualmente molto diversi e s’intende che il primo può essere autonomo, solo a condizione che il potere politico si astenga dall’intervenire.
E s’intende altresì che l’equivoco lessicale-concettuale apre la via all’ingresso della politica nei rapporti sociali, che dovrebbero appartenere per loro natura alla sfera dell’autonomia dei corpi intermedi e del libero associazionismo. In poche parole, la confusione delle lingue fa diventare pubblicistico ciò che è privatistico, burocratizzati e protocollati i rapporti docente-discente e docente-genitore, sottraendoli alla libera scelta e all’affectio delle persone. Tutto ciò, in nome di quale suprema finalità? La politica invasiva e la sua longa manus burocratica, com’è noto, sono molto brave a inventare pretestuose ragioni di interesse pubblico, rinvenute, in questo caso, in due esigenze: la collaborazione scuola-famiglia; l’annullamento del residuo autoritarismo istituzionale. Quanto alla prima, si può constatare che l’autorevolezza delle due istituzioni educative crolla simultaneamente. Al docente piegato e perfino “umiliato” a rendicontare dettagliatamente le proprie scelte didattiche, corrisponde il genitore ridotto a esercitare il ruolo di “sindacalista” del figlio. Con grande beneficio del discente, il quale, demotivato a dare il meglio di sé, impara sempre meno. Quanto al secondo, si può constatare che tutti i soggetti i quali esercitano realmente la potestas, nell’ordinamento italiano, non hanno alcun dovere nei confronti del cittadino-suddito. Gli unici dipendenti pubblici, che hanno il dovere di “rendicontare” la loro attività, sono i docenti, i quali non esercitano potestas e dovrebbero poter esercitare la loro auctoritas. Insomma la ricerca di attenuare l’autoritarismo istituzionale si è indirizzata dalla parte sbagliata.
Torna alle notizie in home