Attualità

IN GIUSTIZIA – Il voto referendario come libera scelta

di Francesco Da Riva Grechi -


Il “palazzo” si divide su una opportuna dichiarazione del vice-premier Antonio Tajani, ovviamente presto condivisa dal partito di Giorgia Meloni e dalla Lega: “Illiberale chi vuole obbligare ad andare a votare”. Questa rubrica ha un taglio tecnico e giuridico e dunque da questo punto di vista si commenterà l’affermazione e gli strali che ha provocato nella sinistra. Ovviamente, si parla di un referendum abrogativo per il quale l’art. 75, comma 3, della Costituzione prevede il diritto di partecipare per tutti i cittadini legittimati ad eleggere la Camera dei deputati. Secondo il comma 4 invece “La proposta soggetta a referendum è approvata se ha partecipato alla votazione la maggioranza degli aventi diritto, e se è raggiunta la maggioranza dei voti validamente espressi”. Risulta dal testo della Costituzione antifascista che la partecipazione della maggioranza degli aventi diritto è una pura eventualità, verrebbe da dire: fascista è chi ti vuole obbligare a votare per una proposta di una singola parte, che non la pensa come te. Tajani, politico di grande esperienza e responsabilità, che ha ricoperto sempre ruoli apicali nelle istituzioni rappresentative, nazionali ed europee, ha usato il termine più adatto di illiberale, ma di questo si tratta! I quesiti referendari dell’8 e del 9 giugno sono proposte tipiche di una visione del mondo e nessuno può obbligare i cittadini italiani ad esprimersi con un si o con un no su una particolare manifestazione di volontà politica che potrebbe benissimo non interessare. La democrazia è partecipazione se chi ti invita a partecipare rappresenta anche i tuoi interessi. Partecipare agli show delle caste non è democrazia o comunque non è un dovere, sarà sicuramente un diritto, ma rinunciabile, perché espressione di libertà di scelta. Proprio Antonio Tajani aveva nei mesi scorsi offerto significative opportunità politiche per la libera e aperta discussione parlamentare sul tema della cittadinanza. La risposta è oggi un quesito referendario che necessariamente prevede un prendere o lasciare secco e dunque una chiusura della discussione. E questa chiusura è il no alla democrazia, con le sue procedure ma anche i suoi dialoghi e le sue discussioni. Forse gli strali della sinistra sono fondati su un equivoco fraintendimento del voto referendario con quello politico, disciplinato dall’art. 48, Cost., che al comma 2 sancisce: “Il voto è personale ed eguale, libero e segreto. Il suo esercizio è dovere civico.” Le elezioni politiche generali sono la vera espressione della partecipazione democratica perché tutti i cittadini hanno interesse ad eleggere i propri rappresentanti e a legittimare il rapporto con le istituzioni parlamentari e il governo. A questo interesse corrisponde un diritto che è reciproco, sia rispetto a chi può essere eletto, e si definisce elettorato passivo, sia rispetto a coloro che la pensano diversamente ma potranno esprimere liberamente la sovranità popolare nelle sedi parlamentari, anzichè nelle piazze. Dunque, da una parte, la libertà di esprimere un episodico si o no su un quesito specifico che può interessare una piccola minoranza, dall’altra parte, l’esercizio del diritto / dovere di elettorato, attivo, e di candidatura, passiva, per andare a costituire l’assemblea parlamentare sede naturale di esercizio della sovranità popolare. Solo in questo secondo caso la Costituzione prevede il dovere civico di esercitare il diritto di voto personale ed eguale, libero e segreto. Ed in questo secondo caso tale diritto è stato recentemente espresso e massicciamente a favore di Giorgia Meloni e della sua maggioranza che nel corso del tempo ha solo aumentato il consenso. Verrebbe da chiedersi se a sinistra, abituati a sovvertire con ogni mezzo le consultazioni elettorali perse, vorrebbero credere che quesiti di minima portata sottoposti a mera consultazione referendaria potessero sovvertire il risultato delle elezioni politiche libere e sovrane.


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