Teatro, la democrazia di Eschilo ne “Le Supplici”
Danao ed Egitto, figli di Belo, re d’Egitto, si scontrano. Il primo è padre di cinquanta figlie e il secondo di cinquanta maschi che vogliono prendere per spose le figlie di Danao. Sia Danao che le figlie rifiutano il matrimonio e fuggono su una nave che li porta ad Argo, patria della loro progenitrice, Io. I Pelasgi che occupano l’Argolide accettano di dare asilo ai fuggitivi e respingono un tentativo degli Egizi, sopraggiunti a loro volta, di impadronirsi delle cugine. Questa è la trama della tragedia Le Supplici di Eschilo, rappresentata per la prima volta negli anni 60 del V secolo a.C., la tragedia segue le sorti del re di Argo, Pelasgo, che è chiamato a prendere una decisione cruciale per il futuro della città: accogliere le figlie di Danao e iniziare una guerra contro l’Egitto oppure rifiutarle e scatenare l’ira funesta di Zeus. Vista l’importanza della decisione, non volendo prendere la scelta da solo, chiede al popolo di votare per alzata di mano:
“Danao: Coraggio, bambine! Tutto bene da parte degli abitanti di qui. Il popolo ha votato il decreto decisivo.
Corifea: Bentornato, padre mio, ambasciatore di notizie gradite! Ma dicci: come sono arrivati a questa conclusione? Come ha deciso il popolo? Come è stata la votazione? Come hanno alzato le mani?
Danao: Gli abitanti di Argo hanno deciso, con giudizio unanime, e hanno risollevato il mio vecchio cuore. Tutte le mani destre si alzarono insieme, l’aria vibrò e fu approvata questa decisione”.
(Eschilo, Le Supplici, 600-608)
Qui la parola democrazia compare per la prima volta in assoluto, seppur in forma di perifrasi (δήμου κρατοῦσα, démou kratoúsa). Compare a Teatro. Il protagonista della tragedia, Pelasgo, è preso come modello di sovrano legittimo e non tirannico. Egli, infatti, sceglie di non agire da solo ma di consultare il popolo. Questo lo allontana dal termine týrannos e lo avvicina a quelli di ánax (“re legittimo”) e archeghétes (“guida”) termini con cui lui stesso si denomina all’interno dell’opera. Riconosce di avere un potere (un krátos) sulla città – come dichiara, ai vv. 255 e 259 – ma sa che deve rendere conto delle sue azioni alle persone che la costituiscono. La città di Argo è una metafora della nascente democrazia ateniese, che nello stesso periodo stava vivendo un’espansione delle sue istituzioni democratiche. Le Supplici di Eschilo riflettono e celebrano questa trasformazione epocale, usando il mito come specchio politico e come strumento pedagogico. La tragedia mostra una decisione presa per voto popolare (cheirotonía, “voto per alzata di mano”) e all’unanimità – un altro aspetto da non sottovalutare – poiché benché idealizzata, è uno strumento di legittimazione collettiva. Il consenso unanime infatti, allontana i conflitti interni (stásis) molto temuti dalla società ateniese perché pericolosi per la coesione della pólis. Infatti, la continua tensione degli agoni politici alimentava una dialettica pressoché quotidiana, risolta soltanto dall’unanimità. Eschilo ritrae una democrazia perfetta e condivisa, fondata su una partecipazione consapevole, che riflette gli ideali politici dell’Atene di Pericle. Le Supplici pone l’accento sull’assoluta centralità del voto assembleare, per sottolineare come la sua espressione più rassicurante e auspicabile rimanga quella all’unanimità. Mascherandone le tensioni e le contraddizioni reali, che inevitabilmente fanno parte del processo democratico, ma non per questo meno importanti.
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