Jannik Sinner, l’italiano riluttante? Una polemica che racconta molto più di quanto sembri
L’intervento di Corrado Augias sulla figura di Jannik Sinner ha sollevato una nube di polemiche che va ben oltre il mondo dello sport. Il celebre intellettuale ha definito il tennista altoatesino un “italiano per caso”, insinuando un senso di distacco — identitario, culturale e persino fiscale — tra Sinner e la nazione che oggi lo celebra come simbolo del talento sportivo italiano.
Il nodo centrale delle critiche è il presunto scarso attaccamento del tennista all’Italia: il rifiuto dell’invito al Quirinale da parte del Presidente Mattarella, la lingua tedesca parlata in famiglia, la residenza fiscale a Montecarlo. Elementi che, secondo Augias, disegnerebbero il ritratto di un giovane campione che accetta il sostegno emotivo e mediatico del Paese, ma ne rifugge le responsabilità civiche.
Ma siamo davvero di fronte a un caso di “italianità riluttante”? O piuttosto al riflesso di un’Italia che fatica ancora a comprendere e accettare le sue mille sfumature identitarie? Sinner è nato a San Candido, cresciuto in un contesto trilingue e pluriculturale, tipico dell’Alto Adige. Parla perfettamente italiano, tedesco e inglese. È giovane, ha vissuto metà della sua vita in centri di allenamento sparsi per l’Europa. Forse è il volto di un’Italia nuova, meno ideologica e più pragmatica, meno legata ai simboli e più ai risultati.
La scelta di vivere a Montecarlo non è una novità nel mondo del tennis professionistico, dove la gestione della carriera e della tassazione è spesso affidata a team di manager internazionali. Si può e si deve discutere di etica fiscale nello sport, ma senza trasformare il dibattito in un processo di italianità.
Il punto che questa polemica porta alla luce è la necessità, per il nostro Paese, di ridefinire il concetto di identità nazionale in modo inclusivo, consapevole della realtà plurale in cui viviamo. Sinner è italiano. Lo è a modo suo. Ed è anche un simbolo del fatto che oggi si può rappresentare l’Italia senza necessariamente rientrare nei vecchi schemi.
In fondo, ciò che dovrebbe unire non è il passaporto, ma la passione condivisa. E in questo, Sinner ha già fatto molto più di tanti altri.
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