Caso Garlasco: ombre dal passato, errori investigativi e inquietanti scoperte
Da quando è stata resa nota la riapertura delle indagini sull’omicidio di Chiara Poggi, risalente all’agosto del 2007, stanno man mano venendo a galla vicende legate alle vecchie indagini che hanno dell’incredibile. Sembra di stare assistendo alla messa in onda di una fiction surreale, scoprendo, puntata dopo puntata, quanto gli interpreti nel ruolo degli inquirenti siano stati poco affidabili e professionali. Ma non è una mediocre telenovela quella a cui si sta assistendo, è una tristissima realtà.
Non si sta parlando di quanto messo in atto in questi mesi dall’attuale Procura di Pavia, che ci si augura riuscirà a scrivere la parola “Fine” in calce a questa storia, ma di quanto successe nell’immediatezza del delitto, indagini che portarono alla condanna di Alberto Stasi: scena del crimine totalmente compromessa, impronta della mano dell’assassino sul pigiama di Chiara andata distrutta, testimonianze e perizie non prese in considerazione, ora del delitto modificata, alibi non verificati, impronte e reperti non analizzati. Un lunghissimo repertorio di mancanze, disattenzioni, superficialità che dovrebbe diventare caso di studio nei manuali di criminologia, per evidenziare tutto ciò che non va fatto nel corso di un’indagine. “Non si poteva parlare che di Alberto Stasi, tutto il resto non contava nulla” è la denuncia del maresciallo Francesco Marchetto, ora in pensione, ai tempi a capo della caserma dei carabinieri di Garlasco. Sostiene di essere stato rimosso dall’indagine proprio perché mise in dubbio l’operato di chi stava indagando a senso unico. Una conferma di quanto dichiarato da Marchetto si evidenzia ripensando alla testimonianza rilasciata spontaneamente da Marco Muschitta, totalmente ignorata. Il testimone dichiarò di aver visto la cugina di Chiara, Stefania Cappa, la mattina del delitto a poca distanza dalla villetta dei Poggi. Era in sella ad una bicicletta nera e la notò poiché procedeva zigzagando, in quanto stringeva con una mano un pesante oggetto metallico. Descrisse anche accuratamente com’era vestita ed un particolare delle scarpe che indossava. Ma nel corso della stesura del verbale ci fu un’interruzione di circa un’ora e alla ripresa Muschitta ritrattò. Successivamente intercettato, durante una telefonata con suo padre, confermò però di aver riferito ai carabinieri esattamente quanto aveva visto.
Garlasco, il Supertestimone a Le Iene: “18 anni fa non ci fu la volontà di ascoltare”
Ma nessuno degli investigatori ritenne necessario andare a perquisire la casa dei Cappa per verificare la presenza della bicicletta (dello stesso colore di quella vista da una testimone appoggiata davanti alla casa di Chiara) e delle scarpe descritte dal testimone. Muschitta fu poi denunciato per calunnia dalla Cappa e si dovette difendere in tribunale, dove fu assolto. Eppure la famiglia Cappa era in possesso di un mazzo di chiavi di casa Poggi e conosceva il codice per disattivare il loro antifurto. Si potrebbe quindi dare una spiegazione alla prolungata reticenza del testimone trovato dal giornalista della trasmissione Le Iene, che solo ora ha deciso di esporsi. Questo testimone ha riferito che una persona di sua conoscenza, non più in vita, aveva visto Stefania Cappa trascinare un pesante borsone davanti alla casa di sua nonna, nel paese di Tromello (a pochi chilometri da Garlasco) e successivamente aveva percepito il tonfo di un oggetto buttato nel canale che scorre adiacente alla casa. Nei giorni scorsi il corso d’acqua è stato fatto dragare accuratamente dagli inquirenti e sono stati rinvenuti alcuni oggetti metallici e un martello. E proprio un martello, secondo il padre di Chiara, non fu più ritrovato in casa dopo il delitto. A distanza di così tanto tempo sarà ben difficile stabilire se si tratti di oggetti utilizzati per l’assassinio, ma il loro reperimento sembra rafforzare l’attendibilità del testimone. Altri elementi inquietanti che sono stati riportati alla luce, sono gli strani suicidi avvenuti a Garlasco e che parrebbero trovare dei legami con Andrea Sempio, l’amico del fratello di Chiara, attualmente indagato a seguito del reperimento del suo DNA, secondo il perito della Procura, sulle unghie della vittima. Nel novembre del 2010 fu trovato morto Giovanni Ferri, con la gola e i polsi recisi senza che ci fosse alcun oggetto tagliente nelle vicinanze del cadavere. Ferri, pensionato di 88 anni, abitava vicino alla casa di Sempio e il giorno dell’omicidio, come faceva sempre, era seduto a far colazione ad un tavolino esterno di un bar. Avrebbe visto qualcosa, rivelato solo alla moglie che, secondo il maresciallo Marchetto, interpellata al riguardo disse: “non voglio fare la sua stessa fine”. Ma gli inquirenti, gli stessi che indagarono sull’assassinio di Chiara, archiviarono la morte di Ferri come suicidio. Sempre come suicidio fu catalogata la morte, nel 2012, di Corrado Cavallini, medico di base della famiglia Sempio e dei coniugi Ferri. La moglie di Ferri gli aveva riferito quanto confidatole da suo marito? Anche un amico d’infanzia di Sempio, nel 2016, prima di togliersi la vita condivise su Facebook un verso di una canzone: “La verità sta nelle cose che nessuno sa, la verità nessuno mai te la racconterà”. Saranno state solo delle tragiche coincidenze o le nuove indagini faranno affiorare nuovi sconvolgenti scenari? In ogni caso, comunque vada finire questa vicenda, difficile che cresca la fiducia degli italiani verso il sistema giudiziario che, secondo un recente sondaggio Demos, era già ai minimi storici: solo il 12% degli intervistati dichiarò totale fiducia nella magistratura.
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