Esteri

Washington e Gaza: il filo rosso dell’odio che unisce le mani insanguinate

di Ernesto Ferrante -


Sarah Milgrim e Yaron Lischinsky, fidanzati e dipendenti dell’ambasciata di Israele negli Stati Uniti sono stati uccisi a colpi d’arma da fuoco davanti al Capital Jewish Museum di Washington. Lischinsky era nato in Germania, era in possesso di un passaporto tedesco, era israeliano, ma non era ebreo. “L’ho fatto io, l’ho fatto per Gaza. Liberate la Palestina!”, ha dichiarato l’uomo che ha sparato. Si chiama Elias Rodriguez, 30 anni ed è originario di Chicago. L’episodio è stato qualificato dalle autorità statunitensi come un “attentato antisemita”.

Violenza che si aggiunge ad altra violenza, quella dell’esercito di Israele nella Striscia di Gaza, con il rischio che le molotov dell’odio si moltiplichino, facendo vittime alla cieca. In un momento così delicato non servono gli ultras. Sarebbe più saggio scandire bene le parole e chiarire i concetti, evitando equiparazioni e sovrapposizioni.

“Mi ritengo amico di Israele come della Palestina e distinguo Israele dalle scelte del governo attuale che come ho avuto modo di dire oggi non condivido”, ha detto mercoledì il ministro italiano della Difesa, Guido Crosetto, rispondendo al Question time alla Camera. Una distinzione sostanziale, che si ricollega inevitabilmente a quanto accaduto negli Stati Uniti.

Nel corso di un’intervista al Corriere della Sera, Crosetto ha specificato ancora meglio il concetto, toccando un punto nevralgico del “meccanismo” che si è innescato: “Netanyahu, a mio personale avviso, sta sbagliando: ciò che sta facendo ora si deve fermare. È inaccettabile per i valori che vogliamo difendere. Per due motivi, in primis: uno è chiaramente umanitario, e non c’è nemmeno da descriverlo. È sotto gli occhi di tutti. L’altro è politico. Il governo israeliano sta rafforzando Hamas. Ogni morte di un civile chiama un nuovo nemico, ogni uomo che ha perso figli o moglie o fratelli sarà pronto a odiare e combattere Israele per tutta la sua vita. Per odio. Si sta creando una drammatica spirale senza fine. Chi è amico di Israele, come me, non può non dirlo, anzi deve urlarlo. Rischiano di rafforzare le file di Hamas che, infatti, guarda a questa escalation con meno orrore di quello che suscita in noi”.

Una concatenazione di cause ed effetti che il premier israeliano Benjamin Netanyahu e i suoi ministri continuano ad ignorare. Alcuni componenti del governo vogliono silenziare le critiche, facendo leva sull’efferatezza del duplice omicidio. Parlando a Gerusalemme Ovest, il ministro degli Esteri israeliano Gideon Saar Saar ha puntato il dito contro altri Paesi occidentali, tra cui gli Stati membri dell’Ue e coloro che nelle ultime settimane hanno criticato Netanyahu per l’escalation militare e il blocco degli aiuti umanitari ancora in corso nell’enclave palestinese.

“Esiste un filo diretto che collega l’incitamento antisemita e anti-israeliano” alla sparatoria che è costata la vita a Sarah Milgrim e Yaron Lischinsky, ha sostenuto Sa’ar nel corso di una conferenza stampa, affermando che “questa istigazione viene praticata anche da leader e funzionari di molti paesi e organizzazioni internazionali, soprattutto europei”.

Pur senza fare nomi, il capo della diplomazia israeliana ha sottolineato che “le loro parole sono le moderne accuse di omicidio colposo” e “le calunnie sul genocidio, sui crimini contro l’umanità e sull’uccisione di neonati hanno spianato la strada proprio a questi omicidi”. Insomma, ha insistito il ministro, “ecco cosa succede quando i leader del mondo si arrendono alla propaganda terroristica palestinese e la servono”.

Diretto è stato, al contrario, un suo collega. “Il presidente francese Emmanuel Macron, il primo ministro britannico Keir Starmer e il primo ministro canadese Mark Carney hanno tutti, in modi diversi, incoraggiato le forze del terrore non riuscendo a tracciare linee rosse morali. Questa codardia ha un prezzo, e quel prezzo si paga con il sangue ebraico”, ha scritto su X il ministro israeliano della Diaspora e per la Lotta all’antisemitismo, Amichai Chikli.


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