La politica riveda l’intero sistema giudiziario
Il nuovo clamore attorno al delitto di Garlasco e la moltitudine di elementi che stanno entrando a far parte di un quadro che appare sempre più fosco dovrebbero indurre tutti i partiti a una riflessione sulla necessità di una profonda riforma dell’intero sistema giudiziario. La legge costituzionale targata Nordio interviene certamente a correggere alcune storture del settore della giustizia, ma non impatta su alcune assurdità sistemiche che negli ultimi giorni, complice la ritrovata centralità del dibattito attorno all’omicidio di Chiara Poggi, appaiono evidenti. A partire dal fatto che per l’omicidio di Garlasco è stato individuato un colpevole in sede processuale. E poco importa se quel colpevole era già stato additato come tale dall’opinione pubblica, perché quel che conta è ciò che viene deciso nelle aule di tribunale, non nelle piazze o sui giornali. Se Alberto Stasi è stato condannato oltre ogni ragionevole dubbio perché ritenuto l’assassino di Chiara Poggi, come è possibile che adesso la Procura di Pavia abbia messo nel mirino Andrea Sempio? Le due cose non stanno insieme e, quindi, in un caso o nell’altro si è in presenza di un errore. Gli errori capitano a chiunque, per carità, ma chi ha nelle proprie mani il destino di un’altra persona dovrebbe esser ben accorto a non compierne e di certo godere della più totale irresponsabilità delle scelte assunte, anche rispetto alla decisione di privare un individuo della libertà personale, non fornisce alcun incentivo in tal senso. Neanche nel caso in cui si ritenga di stravolgere una decisione in senso contrario assunta da altri, e qui veniamo a un altro aspetto del nostro sistema giudiziario che i partiti dovrebbero avere il coraggio di rivedere. Prendendo sempre la condanna di Stasi come esempio, bisogna ricordare che quello che è oggi un condannato in via definitiva, era stato assolto nei primi due gradi di giudizio. Possibile che ciò non sia bastato a porre un punto a questa vicenda giudiziaria e che il terzo grado abbia rimesso tutto in discussione capovolgendo letteralmente le sorti di un processo, oltretutto solamente indiziario? Possibile, infatti è andata proprio così. Varrebbe la pena di interrogarsi sul perché in altri ordinamenti in caso di assoluzione l’accusa non può ricorrere ai successivi gradi di giudizio. O quantomeno prevedere che se il processo d’appello conferma un’assoluzione ottenuta in primo grado i giochi si fermino qui, con buona pace degli organi inquirenti. Due assoluzioni, in un sistema giudiziario sano, significano infatti o che non c’è alcun dubbio dell’innocenza dell’imputato o che c’è un dubbio sulla sua colpevolezza. Ribaltare questa evidenza in un successivo grado di giudizio significa annientare un principio cardine della civiltà giuridica, in dubio pro reo, quello su cui si basa la necessità che la colpevolezza venga comprovata oltre ogni ragionevole dubbio. Certo, se a furor di popolo si acclama la condanna di un imputato perché chi lo accusa ha fatto di tutto per farlo apparire colpevole sfruttando il clamore mediatico che alcune vicende giudiziarie riflettono, è evidente che non c’è principio di civiltà giuridica che tenga. Lo diciamo senza mezzi termini: non è tollerabile che le procure si avvalgano degli organi di informazione per fare assumere maggiore vigore alle proprie tesi. Diritto di cronaca e libertà di stampa sono sacrosanti, ma non c’entrano nulla con le attività inquirenti e i giornali non possono svilire il proprio ruolo relegandosi a megafoni di investigatori o pm, come accaduto con Tangentopoli, con Alberto Stasi e altre decine di volte. Dire questo non significa sostenere le ragioni di alcun ‘bavaglio’ ai media, vuol dire semplicemente pretendere il rispetto di ruoli e funzioni della magistratura e della stampa. La giustizia italiana soffre anche di questo virus e pure su questo la politica, invece di dividersi tra paladini dell’intangibile autorità giudiziaria e presunti odiatori seriali delle toghe, dovrebbe attivarsi per riformare un sistema che non garantisce chi malauguratamente finisce in un’aula di tribunale. Innocente o colpevole che sia.
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