L’INTERVISTA/ELY KARMON (Intelligence Tel Aviv) – Israele Vs Gaza una guerra senza orizzonti
Parla il ricercatore senior presso l'Istituto Internazionale per l'Antiterrorismo di Herzliya, in Israele.
Ely Karmon: “Per Hamas la vita dei palestinesi non ha alcun valore, mentre per Netanyahu la liberazione degli ostaggi e le loro famiglie non sono la priorità. Ecco perché la guerra a Gaza continua”.
A pronunciare queste parole non è un attivista per la pace, ma Ely Karmon, ricercatore senior presso l’Istituto Internazionale per l’Antiterrorismo di Herzliya, in Israele. Promotore della Coalition for Regional Security, l’iniziativa di pace che raccoglie oltre 100 figure dell’establishment israeliano nella difesa, la diplomazia, il mondo accademico e la società civile, Karmon non nasconde la sua frustrazione per una guerra di cui ancora non si intravedono gli orizzonti.
Intanto, la popolazione palestinese, ammassata a Sud di Gaza City, è priva di tutto. Due giorni fa la Gaza Humanitarian Foundation, l’organizzazione a guida americana e israeliana che sta distribuendo gli aiuti nel Sud della Striscia, ha sospeso tutte le sue attività a causa delle numerose vittime tra i civili, uccisi dai proiettili mentre cercavano di raggiungere i pacchi alimentari nei centri intorno a Rafah.
I pochi canali di distribuzione dell’Onu che ancora funzionano, sono preda di assalti e furti quotidiani. Jonathan Whittall, che coordina gli aiuti dell’Onu nei territori palestinesi, ha accusato Israele di ritardare con inutili lungaggini burocratiche il passaggio degli aiuti dal valico di Kerem Shalom. A complicare la situazione, nella giornata di ieri un sindacato vicino ad Hamas che rappresenta i camionisti addetti al trasporto degli aiuti umanitari, ha indetto uno sciopero per protestare contro i recenti furti e assalti ai convogli da parte di imprecisati gruppi armati. Una guerra nella guerra in cui si decide chi avrà il controllo della popolazione di Gaza, bisognosa di cibo e acqua.
Sull’altro lato del confine, gli israeliani, stanchi dello stallo nella liberazione degli ostaggi, due giorni fa hanno organizzato una marcia di protesta contro il governo Netanyahu. Il corteo partirà da Tel Aviv e raggiungerà oggi il confine con la Striscia di Gaza.
Cosa sta succedendo in queste ore con gli aiuti umanitari nel sud della Striscia?
“Purtroppo, la gente non sempre ha seguito i corridoi di passaggio prestabiliti per raggiungere i centri della Gaza Humanitarian Foundation, gestiti direttamente da contractor statunitensi. Molti sono usciti dalle rotte indicate, avvicinandosi così alle postazioni dei soldati israeliani, collocate a circa 500 o 600 metri di distanza dai punti di distribuzione degli aiuti alimentari. Non conoscendo le intenzioni dei palestinesi che si trovavano improvvisamente davanti, i soldati israeliani sparavano. Va detto che gli uomini di Hamas sono contrari alla concentrazione di tutti gli aiuti nelle mani della Gaza Humanitarian Foundation. Sanno che questo per loro significa perdere il controllo politico sulla popolazione di Gaza. Per questo, hanno allestito posti di blocco in cui sparano contro la loro stessa gente mentre si dirige verso i siti di distribuzione delle derrate”.
Perché è stata presa la decisione di concentrare gli aiuti nel Sud della Striscia?
“Prima di tutto, perché Hamas si appropriava sistematicamente degli aiuti umanitari, ridistribuendoli alla propria gente o rivendendoli a prezzi incredibilmente elevati alla popolazione civile. Tutti sapevano che erano i camion degli uomini di Hamas a distribuire gli aiuti, secondo i loro criteri. L’iniziativa della Gaza Humanitarian Foundation è stata avviata per togliere all’organizzazione terroristica palestinese il controllo sulla distribuzione degli alimenti e quindi anche il controllo politico sulla popolazione. L’obiettivo è quello di espandere i centri di aiuto al più presto anche nel nord della Striscia. Prima, però, occorrerà che terminino almeno gli scontri intorno a Jabalia”.
Dopo gli omicidi che hanno decimato la leadership di Hamas, cosa resta dell’organizzazione palestinese a Gaza?
“Gli omicidi mirati non hanno cambiato un granché. I soldi che Hamas ha guadagnato con la vendita degli aiuti umanitari sono stati tutti reinvestiti per reclutare giovani leve e acquistare armi. I tunnel sono ancora operativi sotto le case distrutte dei palestinesi e ben riforniti di ogni genere di armi. I soldati israeliani continuano a morire per le imboscate e le mine sparse sul territorio al Nord. Semmai, stiamo assistendo alla scomparsa di un potere militare centrale. Hamas a Gaza si sta spaccando in tante fazioni indipendenti, con a capo personaggi di basso livello. E questo non è certo un bene: sarà sempre più difficile trovare un canale di dialogo con l’organizzazione, sia per gli americani che per gli israeliani. Inutile dire che questa nuova dinamica allontana ancora di più la possibilità di liberazione degli ostaggi che restano ancora nelle mani di Hamas. La gente e l’esercito israeliano hanno un solo desiderio comune: liberare gli ostaggi e porre termine alla guerra. Sono il governo Netanyahu e i radicali della destra religiosa a voler andare fino in fondo per seguire il folle piano di Trump, che prevede l’evacuazione di tutta la popolazione palestinese da Gaza. L’ultimo ostaggio liberato da Gaza, un americano rilasciato grazie a un accordo diretto tra Hamas e gli Stati Uniti, ha raccontato di essere stato più volte sotto i bombardamenti israeliani. Chi vuole continuare la guerra, non si preoccupa per nulla della vita degli ostaggi”.
Ci sono palestinesi che stanno cercando di scappare attraverso il valico di Rafah e mettersi in salvo in Egitto? Sono successi episodi di questo genere?
“Ci sono diversi palestinesi che stanno cercando di passare il valico e ottenere il visto per l’Egitto. Si tratta di persone con una preparazione professionale, come medici, infermieri e ingegneri. Il problema è che l’’Egitto non li vuole: ha già abbastanza problemi in casa con la Fratellanza Musulmana, di cui Hamas fa parte. L’Egitto si sta preparando soprattutto a un altro momento decisivo: quello in cui le sue imprese costruttrici riceveranno i soldi della Lega Araba e dell’Arabia Saudita per la ricostruzione di Gaza. Saranno affari ultramilionari. E non mi sorprenderebbe sapere che a beneficiarne sarà anche la leadership milionaria di Hamas in Qatar e Turchia. Per ironia della sorte, i palestinesi con una formazione universitaria, in cerca di un futuro, preferiscono venire in Israele. Qui vengono accolti sotto la supervisione della sicurezza interna, per poi essere mandati in paesi terzi, come il Canada. È una delle poche vie di uscita per chi è intrappolato nell’inferno di Gaza”.
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