Quando nei primi anni ‘70 crollano alcune banche americane, l’eco del fallimento si riverbera fino alle stanze ovattate del Vaticano. Non è solo una bancarotta, è la fine di un’epoca. Michele Sindona, l’uomo che prometteva ponti tra Wall Street e la Santa Sede, tra la Banca d’Italia e le logge massoniche, trascina nel baratro nomi e istituzioni: la mafia di Badalamenti, i soldi sporchi riciclati, la finta rispettabilità delle banche d’affari e il cuore stesso del cattolicesimo finanziario, lo IOR.
Dietro ai crack, ai misteri, ai cadaveri eccellenti, c’è uno schema che pochi hanno il coraggio di svelare: Sindona non era solo un banchiere “geniale” finito male, era l’anello tra Cosa Nostra e il potere romano. Badalamenti, capo mafia stratega e cosmopolita, gestiva il traffico di droga e il riciclaggio internazionale; i soldi viaggiavano da Palermo a New York, passando per lo IOR e per alcune banche d’oltre oceano, ripuliti sotto l’occhio benevolo di uomini vicino al Vaticano e uomini d’affari.
L’ascesa e la rovina di Sindona coincidono con la crescita esponenziale del debito pubblico italiano. Non è solo finanza: è strategia politica, è il passaggio della sovranità dalla Zecca di Stato alla Banca d’Italia, da una lira gestita dal pubblico a una moneta controllata dai privati e, in filigrana, dalla criminalità organizzata e dalla massoneria internazionale. In quegli anni, l’Italia smette di essere padrona della propria ricchezza, si trasforma in un Paese debitore, fragile e manovrabile.
L’ombra lunga di Roberto Calvi, il “banchiere di Dio”, si sovrappone al puzzle: morto impiccato sotto il Ponte dei Frati Neri, con le tasche piene di pietre e valute straniere, è l’ennesima vittima di un sistema che uccide chi prova a spezzarne la catena. Calvi sapeva, aveva visto e toccato i flussi illeciti tra Vaticano, logge e mafia. Come Sindona, è stato stritolato da quella stessa macchina di cui era ingranaggio e che ha usato la banca del Vaticano come un bancomat per operazioni occulte.
In questo scenario avvelenato nasce il “Dopo Moro”. Il sangue dello statista democristiano, il suo sogno di una sovranità monetaria popolare, viene tradito da uno Stato che si piega ai diktat del nuovo capitalismo mafioso. La DC degli squali, il compromesso storico fallito, lasciano spazio a una politica rapace che privatizza il potere e mette all’asta la dignità delle istituzioni. A pagare il conto sono in tanti: il Vaticano, che perde parte di credibilità e anime; Falcone, che combatte il sistema e viene annientato; oggi, un Giovanni Brusca liberato lascia l’amaro in bocca a chi ha creduto nella giustizia.
La storia non si chiude: la fine delle Banche Americane, la caduta dello IOR, il debito pubblico come arma di dominio, sono ancora la nostra eredità più oscura.