Economia

Chi specula sui farmaci salvavita: i cartelli che gonfiano i prezzi al 5mila%

Le carenze di farmaci non sono casuali ma celano strategie mirate (ed economiche)

di Giovanni Ierfone -


Lo scorso 13 gennaio, la Banc of California ha sequestrato 14,7 milioni di dollari dai conti di Omega Therapeutics. Un mese dopo, l’azienda farmaceutica dichiarava bancarotta, nonostante le proiezioni indicassero liquidità sufficiente fino ad aprile. Il partner strategico? Novo Nordisk, colosso danese dei farmaci antidiabetici. Il settore di ricerca? Terapie contro l’obesità, mercato da miliardi di dollari.

Questo collasso finanziario è solo l’ultimo episodio di una crisi che nasconde meccanismi più profondi. In Italia 3.876 farmaci risultano in carenza e negli Stati Uniti 277 medicinali mancano cronicamente dagli scaffali. Domanda: quante di queste insufficienze sono reali e quante sono il prodotto di strategie speculative?

Farmaci salvavita e speculazioni, il caso del Daraprim

Nel 2015, Martin Shkreli, imprenditore e investitore statunitense noto per le sue pratiche controverse nel settore farmaceutico, aumentò il prezzo del farmaco salvavita Daraprim da 13,50 dollari a 750 dollari da un giorno all’altro, un rialzo di oltre il 5mila per cento. Non si trattava di un medicinale nuovo o di un prodotto frutto di ricerche costose. Daraprim esiste dal 1953 ed è utilizzato per trattare pazienti immunocompromessi da toxoplasmosi. Nel gennaio 2022, un giudice federale lo ha condannato a restituire 64,6 milioni di dollari e lo ha bandito a vita dall’industria farmaceutica. Nell’ottobre 2024, la Corte Suprema ha respinto il suo ricorso, confermando definitivamente la condanna.

Il caso Shkreli ha rivelato un meccanismo preciso: acquisire farmaci essenziali in regime di monopolio, manipolarne la disponibilità e aumentarne drasticamente i prezzi. Una strategia che si ripete con sospetta regolarità. L’affare più clamoroso di manipolazione farmaceutica è emerso nel 2019, quando i procuratori generali di 45 stati americani hanno accusato quasi 20 aziende di farmaci generici di aver cospirato per fissare i prezzi di almeno 15 medicinali. L’indagine, durata cinque anni, ha scoperto che le aziende avevano siglato un patto illecito per ripartirsi i mercati di oltre 100 medicine, aumentando i prezzi anche di oltre mille per cento. Il meccanismo era ingegnoso. Le aziende si spartivano clienti e territori, concordavano prezzi minimi e limitavano la produzione per mantenere alti i prezzi in modo artificiale.

L’inchiesta di Teva Pharmaceuticals e la manipolazione dei prezzi

Nell’ottobre 2024, Teva Pharmaceuticals ha accettato di pagare 450 milioni di dollari per porre fine alle accuse di violazione dell’Anti-Kickback Statute e di manipolazione dei prezzi. In pratica, tangenti e prezzi gonfiati a tavolino. Durante il periodo sotto inchiesta, l’azienda ha quintuplicato il prezzo di un farmaco portandolo da circa 17 mila a 85 mila dollari all’anno. Il suo prodotto di punta aveva fruttato 3,8 miliardi di dollari nel solo 2017. Come parte dell’accordo con il Dipartimento di Giustizia, Teva ha ammesso di aver fissato il prezzo della pravastatina e ha riconosciuto il coinvolgimento di un ex dipendente in altri due casi di manipolazione dei prezzi tra il 2013 e il 2015.

Lo scorso maggio, quando la modella Bianca Balti ha denunciato sui social le difficoltà nel reperire farmaci salvavita per il diabete, ha messo in luce dinamiche che riguardano anche il sistema sanitario italiano. I dati dell’Agenzia Italiana del Farmaco (AIFA) mostrano che su circa 10.000 farmaci prescrivibili, 3.876 risultano in carenza. Il 44% delle mancanze è causato dalla cessazione volontaria della commercializzazione da parte delle aziende. Non problemi tecnici, ma decisioni economiche. Tra i farmaci irreperibili ricordiamo NovoSeven per l’emofilia, CHENPEN per le emergenze anafilattiche, il chemioterapico Fluorouracile, gli antidiabetici Ozempic e Victoza, il FANHDI per l’emofilia A.

Nel 2021, l’azienda biotecnologica Bluebird Bio ha ritirato dall’Europa due delle sue terapie geniche. Zynteglo, indicata per il trattamento della beta-talassemia (una grave malattia del sangue) e Skysona, destinata ai pazienti con adrenoleucodistrofia cerebrale (una rara malattia neurodegenerativa che colpisce soprattutto i bambini). La decisione è stata motivata dall’impossibilità di raggiungere un accordo sui prezzi con gli enti regolatori europei. In altre parole, secondo Bluebird Bio, il rimborso proposto dai sistemi sanitari pubblici europei non era sufficiente a coprire i costi elevati della ricerca, dello sviluppo e della produzione di queste terapie avanzate. Negli Stati Uniti, Zynteglo è commercializzato a 2,8 milioni di dollari per trattamento.

Nel 2022, Orchard Therapeutics ha cessato la commercializzazione di Strimvelis per l’ADA-SCID, malattia rara potenzialmente letale. Sempre per motivazioni esclusivamente economiche.
Uno studio accademico del 2011 documenta come le aziende possano “manipolare il mercato creando artificialmente scarsità, che provocano un aumento del prezzo corrente e, di conseguenza, un incremento della domanda nei periodi successivi“. La “scarsità artificiale” è una strategia di marketing che limita in modo intenzionale la disponibilità percepita di un prodotto per aumentarne il valore e spingerne la richiesta.

Nel settore farmaceutico, questa logica commerciale applicata ai farmaci salvavita comporta rischi concreti per i pazienti. Il 60-80% dei principi attivi farmaceutici (API) utilizzati in Europa proviene da India e Cina. La Cina produce il 40% degli API a livello mondiale e controlla l’80-90% del mercato globale degli antibiotici. L’India dipende dalla Cina per il 70% dei suoi principi attivi.

A ottobre 2024, gli uragani nel Sud-Est degli Stati Uniti hanno interrotto la produzione di fluidi per infusione endovenosa, provocando carenze che hanno coinvolto l’86% delle strutture sanitarie americane. Questa concentrazione geografica non è casuale. Le politiche industriali aggressive di Pechino e Nuova Delhi, sostenute da sussidi statali e da normative ambientali meno rigide, hanno consolidato un oligopolio che può essere sfruttato per manipolare prezzi e disponibilità.

Il 2023 ha segnato un record negativo nel settore biofarmaceutico con 14 aziende fallite, il numero più alto degli ultimi dieci anni. Il trend negativo è proseguito nel 2024, mentre negli Stati Uniti 277 farmaci risultano in carenza cronica, di cui metà da oltre due anni. Al 31 luglio 2024, la FDA monitorava 102 carenze di farmaci. Non tutti questi casi sono il risultato di speculazioni, ma la combinazione di cessazioni volontarie, ritiri strategici e concentrazione della produzione crea un terreno fertile per manipolazioni di mercato.

Quando Martin Shkreli aumentò il prezzo del Daraprim del 5mila per cento in una notte, disse di voler “massimizzare il profitto per gli azionisti”. Quando Teva quintuplicò il prezzo di un farmaco generando 3,8 miliardi in un anno, parlò di “ottimizzazione del portafoglio”. Quando le aziende ritirano farmaci salvavita dall’Europa per venderli a milioni di dollari negli Stati Uniti, invocano la “sostenibilità economica”. In sintesi, scelte dettate da un’esclusiva logica di speculazione commerciale ed economica.

L’Unione Europea ha avviato nel 2023 una revisione della legislazione farmaceutica per introdurre obblighi vincolanti sulla continuità della fornitura dei farmaci salvavita. Ma il processo procede a rilento, frenato dalle resistenze delle lobby industriali. In Italia, l’AIFA ha proposto la creazione di una lista di “farmaci critici” da tutelare con incentivi fiscali e, nei casi più estremi, con la produzione pubblica diretta. Al momento, si tratta solo di proposte di carta.

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