Economia

Dazi, Trump gela ancora l’Ue: “Non ci offre accordo equo”

Il presidente Usa chiude a Bruxelles ma apre a TikTok e alla Cina

di Giovanni Vasso -

In this April 1, 2019, photo, tugboats move a container ship at a port in Qingdao in eastern China's Shandong Province. Data released Friday, April 12, 2019, shows that China's exports rebounded from a contraction in March and sales to the United States grew strongly despite President Donald Trump's tariff hikes.(Chinatopix via AP) [CopyrightNotice: Chinatopix]


L’accordo sui dazi non arriva ancora e all’entusiasmo di Ursula von der Leyen arriva la replica dello scetticismo di Donald Trump secondo cui “siamo ancora lontani da un accordo equo”. Il presidente americano, stretto tra la crisi mediorientale e i problemi interni che, negli Usa come altrove, non mancano mai, ha speso una decina di parole per commentare l’andamento dei negoziati tariffari tra Washington e Bruxelles. Parole, però, che cadono pesanti come pietre: “Stiamo parlando, ma non mi sembra che stiano offrendo ancora un accordo equo, ora facciamo un buon accordo oppure loro pagheranno quello che noi diciamo di pagare”. Tertium non datur. Eppure la presidente della Commissione Ue aveva ribadito ottimismo sulla possibilità di un’intesa: “Il vertice del G7 è un’opportunità per colloqui proficui e approfonditi tra i partner. Ho discusso con il presidente Trump di questioni critiche, dall’Ucraina al commercio. Per quanto riguarda il commercio, abbiamo chiesto ai team di accelerare il lavoro per raggiungere un accordo equo e giusto”, ha scritto su X. Sembravano frasi dettate (anche) dal realismo dal momento che, prima che se la squagliasse lasciando tutti di sasso, Ursula e Trump avevano avuto un breve colloquio a latere del G7 in Canada. Qualcosa, in mezzo, evidentemente è successo. E sembra che da Bruxelles si sia entrati nel vivo dell’iter legato alla semplificazione delle procedure per il Gdpr, il regolamento a tutela della privacy divenuto una delle pietre angolari dello scontro tra l’Ue e Big Tech. Lo snellimento delle procedure potrebbe accorciare fino a 15 mesi, prorogabili per non più di altri dodici in casi eccezionali, la durata delle indagini transfrontaliere. Un’ipotesi che, come riporta Politico, sembra scontentare tutti. Chissà, magari avrà deluso anche la Silicon Valley e, di conseguenza, Donald Trump.

Al danno, come al solito, segue la beffa. Perché proprio dopo aver chiuso all’Ue, durante lo stesso colloquio avuto coi giornalisti a bordo dell’Air Force One, ha aperto a un’altra proroga, e sarebbe la terza, a favore di TikTok. “Probabile, credo che alla fine il presidente Xi darà alla fine il via libera”, ha risposto a chi gli chiedeva del destino del social cinese contro cui la Casa Bianca, già dai tempi del primo mandato del tycoon (e senza soluzione di continuità con il successivo mandato Biden), ha scatenato una dura battaglia in nome della tutela dei dati americani.

Ma non è solo la frontiera digitale quella che inquieta gli animi tra le due sponde dell’oceano Atlantico. Perché, lunedì, era corsa l’indiscrezione riportata dal quotidiano economico tedesco Handesblatt che,  attribuendone la paternità a un funzionario Ue, ha spifferato dell’ipotesi di una tassazione alla frontiera del 10 per cento su tutto l’export europeo. Un’idea che non piace a Manfred Weber, capo del Partito popolare europeo, che pur ribadendo il suo sostegno a Von der Leyen nei negoziati con Trump, ha ribadito: “Come Unione europea siamo un partner commerciale forte. Siamo un blocco economico estremamente forte, e ciò significa che non seguiremo tutte le proposte attualmente avanzate dagli americani”. Poi rende concrete le sue parole: “Per darvi un esempio concreto: i dazi orizzontali del 10 per cento non rappresentano la posizione del Ppe, crediamo ancora in un approccio a dazi zero per i beni industriali”.  Anche il vicepremier e ministro degli Esteri italiano Antonio Tajani è convinto ci possa essere spazio, ancora, per la percorribilità di questa opzione: “La trattativa è in corso, sono ottimista”. Work in progress, per l’Europa. E pure per il Giappone che ha visto sfumare, nelle scorse ore, l’ipotesi di costruire una piattaforma per portare il negoziato con gli americani su un altro livello. Curiosamente, sia Bruxelles che Tokyo vantano un fortissimo settore automotive. Un po’ come la Corea del Sud che, dopo aver aperto al dialogo con Cina e addirittura coi “cugini” del Nord, ora si sente legittimata a ritenere possibile, ma soprattutto imminente, un’intesa con gli Usa. Condizione, questa, condivisa col Canada. All’esito del bilaterale tra il presidente americano e il premier canadese Mark Carney c’è stata una sorta di fumata grigia. Ed è stato proprio Carney, come riporta Reuters, a svelare che la situazione potrebbe comporsi “entro trenta giorni”. Un (bel) po’ dopo il 9 luglio, la data fissata da Ursula von der Leyen come deadline, almeno finora, dei negoziati con Washington. Luglio, per Ursula, sarà un mese caldissimo dato che è in programma un summit con la Cina. Che la presidente della Commissione Ue ha duramente attaccato durante la seduta G7 dedicata ai temi dello sviluppo economico: “Si definisce ancora un Paese in via di sviluppo. Questo non può essere. La Cina ha ampiamente dimostrato di non essere disposta a vivere entro i limiti del sistema internazionale basato sulle regole. Mentre altri aprivano i loro mercati, la Cina si concentrava sulla riduzione delle tutele della proprietà intellettuale e su ingenti sussidi con l’obiettivo di dominare la produzione e le catene di approvvigionamento globali. Questa non è concorrenza di mercato, è distorsione intenzionale. E mina i nostri settori manifatturieri”. Parole durissime che attaccano Pechino, tra le altre cose, proprio dove le fa più male, il rispetto di quel sistema multilaterale di cui, dopo le bizze di Trump, il Dragone s’è autoproclamato paladino.


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