Economia

L’Antitrust Ue dà l’ok all’Ops Unicredit-Bpm: ma c’è una condizione

di Cristiana Flaminio -

Andrea Orcel, CEO Unicredit durante la presentazione della Relazione annuale della Banca d'Italia a Palazzo Koch, Roma, 30 maggio 2025. ANSA/FABIO FRUSTACI


Dopo tanti dispiaceri, finalmente, arriva una buona notizia per Andrea Orcel, la Commissione europea ha dato il nullaosta per l’Ops lanciata da Unicredit su BancoBpm: per l’Antitrust Ue il matrimonio si può fare. Ma nulla è gratis. C’è una condizione. E nemmeno troppo piccola. Occorrerà, infatti, che Unicredit ceda a Bpm almeno 209 sportelli bancari. Se questa richiesta sarà rispettata, per Bruxelles l’affare può arrivare in porto. La nota, giunta nel pomeriggio di ieri, sblocca la vicenda almeno sotto (un altro) profilo burocratico: “UniCredit si è impegnata a cedere 209 sportelli situati in aree locali problematiche con sovrapposizioni in tutta Italia”, ha riferito l’Antitrust Ue. Secondo cui “questi impegni risolvono pienamente le preoccupazioni in materia di concorrenza individuate dalla Commissione, eliminando la sovrapposizione orizzontale tra le attività delle società in tali aree e garantendo il mantenimento della concorrenza”. La conclusione è pertanto quella di un disco verde: “A seguito del riscontro positivo ricevuto durante il test di mercatol’operazione, come modificata dagli impegni non solleverà più preoccupazioni in materia di concorrenza nei mercati dei depositi e dei prestiti, sia per i consumatori al dettaglio che per le pmi. Questo perché, a seguito della cessione, le quote di mercato combinate dell’entità risultante dalla fusione nelle aree locali interessate saranno moderate”. Una buona notizia. Ma l’affare è ancora lungi dall’essere concluso. Ciò, però, non ha impedito a Orcel di rilevare quelle che, a suo parere, sono state le grandi incongruenze che la sua banca ha avuto modo di vivere sulla sua pelle. E, durante l’intervento che ha tenuto a Young Factor, l’evento promosso da Osservatorio Permanente Giovani-Editori in partnership con Intesa Sanpaolo, “s’è sfogato: “Dopo il momento del Covid, i governi, soprattutto europei, hanno preso una posizione molto più interventista sull’M&A. Oggi o fai lobbying al governo prima di fare l’M&A per averli dalla tua parte oppure fai l’M&A secondo le regole corrette e speri di arrivare in fondo”. Parla di governi, al plurale. E mette l’accento sul fatto che si tratti di quelli europei. Del resto c’è da capirlo, Orcel. Su Banco Bpm è andato a sbattere contro l’ostilità del Mef ma con l’operazione Commerzbank s’è trovato di fronte addirittura due cancellieri, Scholz prima e Merz dopo, pronti a guidare la Germania in armi contro l’invasore italiano. Ma l’ad Unicredit ha le idee chiare in proposito: “Noi siamo dell’opinione di fare la seconda cosa perché crediamo che la nostra società debba reggersi su dei principi e valori per i nostri azionisti, clienti e comunità e non di fare altre cose”. Il guaio, però, è che la direzione che l’Ue ha deciso di intraprendere, nei fatti viene sconfessata dalle posizioni dei governi nazionali: “Se io non ho la capacità economica di difendere i valori, me li impongono gli altri, perché mi dicono tu se vuoi lavorare con me devi applicare i miei valori in futuro, quindi è molto importante per l’Europa mantenere l’orgoglio dei nostri paesi, ma unirci e mettere a fattor comune non toglie niente dalla nostra individualità per diventare più forti, in questo c’è l’unione bancaria, l’unione del mercato dei capitali, tutte cose di cui si parla tantissimo, ma ogni volta che fai un passo per arrivarci si alzano le barricate da tutte le parti”, ha aggiunto sconsolato Orcel. Che, peraltro, deve continuare a difendersi dall’accusa di fare (troppi) affari in Russia. Che, poi, è uno dei paletti imposti dalla golden power sull’operazione Banco Bpm. Unicredit, in una nota pubblicata a ridosso di quella dell’Antitrust Ue, ieri ha fatto di nuovo chiarezza: “Contrariamente ad alcune informazioni pubbliche circolate, la presenza in Russia non è in conflitto con alcuna posizione internazionale: il gruppo rispetta pienamente tutte le leggi applicabili e il quadro sanzionatorio (di cui l’Italia è firmataria) e opera secondo standard più stringenti o in linea con tutti i requisiti dell’Autorità di vigilanza dell’Ue, che sono ancora più rigorosi rispetto alla legislazione e al regime delle sanzioni”. Quindi da piazza Gae Aulenti rivendicano di aver “drasticamente ridotte” le attività in Russia “dall’inizio del conflitto, a un ritmo più veloce di qualsiasi altra società concorrente, il che ha portato a un’attività completamente isolata, segregata dal resto del Gruppo, con meno di un miliardo di euro di prestiti e depositi verso società russe e con una potenziale perdita completamente coperta da una piccola frazione del nostro capitale in eccesso”.


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