Economia

Giù il petrolio ma sale la preoccupazione per l’energia

di Cristiana Flaminio -

epa12180719 The Ivorian Refining Company (SIR) facilities in Abidjan, Ivory Coast, 17 June 2025. Recent military escalations between Israel and Iran are raising fears of a potential closure of the Strait of Hormuz, a crucial waterway for global oil and gas trade, which could significantly impact global energy markets, causing a sharp increase in oil prices. EPA/LEGNAN KOULA


Il petrolio scende ma la paura per l’impennata dei costi dell’energia sale e dall’Ecofin arriva l’appello ad abbassarne i costi. Confindustria, nelle stime flash di giugno, lancia l’allarme: oltre ai dazi, il costo della bolletta fa sempre più paura alle imprese italiane e, adesso, rischia di comprimere anche gli affari dell’industria. “L’industria italiana ha tenuto all’inizio del secondo trimestre e gli indicatori sono migliorati per i servizi”, spiegano dal Centro studi di viale dell’Astronomia. Lo scenario attuale rimane frastagliato, incomprensibile, avvolto da nubi contrastanti e contraddittorie: “I dazi sull’export e l’incertezza stanno deteriorando la fiducia, brutto segnale per i consumi e gli investimenti. Positivo, invece, è il proseguire del taglio dei tassi nell’Eurozona”. Ma, ecco, la variabile impazzita: “Risale il costo dell’energia – si legge nell’inchiesta Congiuntura Flash -. Il prezzo del petrolio, che da inizio 2025 era in calo per le attese indebolite sulla domanda globale determinate dai dazi, è bruscamente risalito sulla scia della guerra Israele-Iran. Anche il prezzo del gas in Europa (Ttf) è rincarato”.

Ma, sul fronte delle quotazioni, si assiste a una (mezza) novità: il prezzo del petrolio scende, a differenza di quello dell’energia. Non siamo di fronte ad alcun calo repentino, sia chiaro. Ieri il prezzo del barile di petrolio ha perso il 2,71% scendendo poco sotto i 77 dollari al barile. Però, per molti osservatori, si tratta di un segnale. Inteso in senso geopolitico: i mercati hanno ancora fiducia nella de-escalation o, quantomeno, nel non-intervento diretto degli Stati Uniti nello scontro tra Israele e Iran. Se Trump non interviene, gli ayatollah non utilizzeranno la loro (vera) arma: la chiusura dello stretto di Hormuz. E viceversa. Una lettura, questa, che era stata anticipata nei giorni scorsi dall’amministratore delegato di Eni, Claudio Descalzi, secondo cui se “i mercati non fanno schizzare il valore del greggio sopra gli 80 o 90 dollari, ma lo hanno riabbassato nonostante le dichiarazioni dell’Opec, prevedono che situazioni più estreme come il blocco dello stretto di Hormuz siano poco probabili, perché andrebbero a colpire prima di tutto l’Iran e le vendite del petrolio iraniano, ma poi implicherebbero probabilmente anche un intervento degli Stati Uniti”. Del resto, ci sono troppi equilibri che si reggono proprio sulla percorribilità di Hormuz. A cominciare da quelli su petrolio e energia da cui, evidentemente, discendono tutti gli altri. I rischi sarebbero tali (e tanti) da coinvolgere il mondo intero e da chiamare in causa in un conflitto, che a quel punto diverrebbe davvero mondiale, potenze non più solo regionali ma globali come, su tutte, la Cina e l’Europa.

La crisi iraniano-israeliana riporta d’attualità il grande tema di questi anni ossia quello dell’indipendenza energetica. Che, come ha dimostrato una ricerca di Havas presentata nei giorni scorsi alla Camera dei Deputati, rappresenta una priorità addirittura per il 95% degli italiani. Tra cui, peraltro, crescerebbe il consenso nei confronti dell’opzione nucleare: si tratta, oggi, dell’8 per cento in più di famiglie, imprese e cittadini che si dicono interessati e favorevoli all’atomo. Un cambio radicale rispetto solo a qualche anno fa. Ma gli italiani pensano (soprattutto) al presente e il 62% si ritrova a temere nuovi rincari in bolletta. Il 21% teme che questa volta gli aumenti possano essere “significativi” mentre il 41% ritiene, o forse spera, che i rincari siano stavolta “moderati”. La colpa, secondo le risposte che gli italiani interpellati hanno offerto ai ricercatori, sarebbe da rintracciare principalmente nella speculazione dei mercati (33%). Per un italiano su quattro (24%) è lo scenario geopolitico internazionale a causare fluttuazioni e preoccupazioni. La sostenibilità ambientale resta un valore per le famiglie ma sono pochi coloro che si dicono disposti a pagare di più l’energia ottenuta con le fonti rinnovabili.

Il costo dell’energia è la chiave per la competitività e, a margine dell’Ecofin, il ministro polacco Andrzej Domandski ha spiegato che senza bollette più basse l’Ue rischia di mandare all’aria tutti i suoi piani, a cominciare da quelli per il riarmo: “Per finanziare la spesa per la difesa, abbiamo bisogno di un’economia europea forte. Per raggiungere questo obiettivo, abbiamo bisogno di maggiore competitività e anche di prezzi dell’energia più bassi”.


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