Lagarde teme il ritorno dell'inflazione. Bruxelles cauta, il caso Bassora
epaselect epa12192585 A container ship sails on the Strait of Hormuz, as seen from Ras Al Khaimah, United Arab Emirates, 23 June 2025. The Strait lies between Oman and Iran and links the Gulf to the Arabian Sea. The Iranian parliament approved a measure to close the Strait of Hormuz, following US strikes on three of Iran's key nuclear sites on 22 June 2025. Israel and Iran have been exchanging fire since Israel launched strikes across Iran on 13 June 2025. EPA/ALI HAIDER
Non speculate, Trump vi guarda e vi ordina di “non aiutare il nemico” men che mai a Hormuz. Per ora è bastato un post su Truth, tutto in maiuscolo, a calmare le acque. Chissà se, dovessero chiudersi davvero ai traffici internazionali le acque antistanti lo stretto di Hormuz, basterà digitare messaggi minacciosi per farsi ascoltare. L’estate è iniziata ed è già caldissima, le tensioni internazionali si riverberano, ancora una volta, sui mercati e sulle forniture energetiche. E sembra proprio di essere tornati all’estate, torrida, del 2022 quando il gas schizzò a 300 euro al MhW e l’Ue, solo quando la fiammata finì e dopo mille bizantinismi trovò la soluzione del price cap. Tutto mentre la Bce iniziava a chiudere i cordoni della borsa in nome dell’inflazione. Un pericolo che, oggi, torna. E fa affilare i denti a Christine Lagarde: “Non c’è dubbio”, ha detto in audizione al Parlamento Ue la governatrice Bce, che uno stop a Hormuz “avrebbe ricadute inflazionistiche sul breve termine. Ci sarebbe certamente un impatto sui prezzi di petrolio e gas, che potrebbe essere di portata e durata tali da innescare effetti di secondo livello”, che andrebbero quindi oltre la sola energia. Roba già vista dopo l’Ucraina. Per ora, Lagarde si ferma agli auspici: “Questa è una fonte di preoccupazione ed è un punto che dobbiamo monitorare molto attentamente: speriamo che le parti possano sedersi a un tavolo e negoziare. E auspicabilmente arrivare a un accordo che eviti le conseguenze economiche che ho menzionato”. Se tutto precipitasse sarebbe un peccato per la numero uno di Francoforte dal momento che si è detta “felice della posizione economica in cui siamo, ma non c’è dubbio – ha avvertito – che sul breve termine se questo rischio si materializzasse avrebbe ricadute inflazionistiche, sul medio e lungo termine è più difficile valutare”. Intanto, a Bruxelles, almeno una lezione l’hanno imparata: non drammatizzare, non cedere alla comunicazione hawkish. Per adesso l’Ue non ha in mente particolari misure sui prezzi dell’energia: “I prezzi sono stati volatili negli ultimi giorni, e noi, naturalmente, li stiamo seguendo molto da vicino: per ora non è prevista alcuna reazione specifica”, ha assicurato una portavoce della Commissione nel corso del consueto punto stampa.
Per il momento, però, questo almeno per quanto riguarda il petrolio non sembra essere un problema. Quando era mattina in Italia, le quotazioni avevano preso il volo sulla scorta di quelle del Gnl che sono arrivate a superare i 41 euro al MwH. Il barile, invece, aveva preso un abbrivio deciso virando verso gli 80 dollari. Una soglia più che psicologica: sarebbe stato solo l’inizio verso la risalita. Di fronte a queste notizie è intervenuto personalmente Donald Trump. Che, su Truth, ha mandato un avviso alla speculazione internazionale: “Tenete basso il prezzo del petrolio, vi sto guardando. State giocando nelle mani del nemico, non fatelo”. Un secondo post, poi, chiarisce ancora di più il senso del primo: “Trivellate, trivellate, trivellate. E intendo dire adesso”. Il richiamo al “Drill, baby, drill”, leitmotiv della campagna elettorale non è banale. Il prezzo del petrolio ha superato stabilmente il breakeven (che è più alto rispetto a quello degli altri operatori soprattutto per chi utilizza la tecnica del freaking) che consente alle aziende energetiche americane di incassare bei guadagni dopo aver temuto per il ribasso dei prezzi imposto dall’aumento della produzione stabilito dall’Opec quasi in ritorsione alla politica di dazi Usa.
Ma la questione energetica non si risolve con un paio di post sui social. Se l’Iran non chiuderà Hormuz (ed è proprio questo ciò su cui scommettono i mercati) sarà stato per merito della Cina che si ritrova, sul piatto, un altro “regalo” diplomatico da parte degli Stati Uniti di Trump. Contestualmente ci sarà da valutare anche cosa potrà accadere ancora nell’area. Già, perché è notizia di ieri, riportata da Basra Oil Company, la compagnia energetica irachena di Stato, il fatto che sia iniziato il trasferimento di impiegati e lavoratori stranieri delle aziende europee dai siti produttivi del Sud del Paese mediorientale. Basra cita British Petroleum, la francese Total e gli italiani di Eni. Se i segni sono per chi sa intenderli, forse, in questo caso non c’è da stare tranquillissimi sull’evoluzione potenziale della questione Hormuz anche di fronte alle eventuali reazioni dopo gli attacchi di Israele e Trump.