IL REPORTAGE – In Iran e Israele dopo la guerra è caccia a spie e traditori
Iniziata in Iran la "caccia" alle spie: per il capo della magistratura è tempo di accelerare le esecuzioni
IL REPORTAGE – In Iran e Israele dopo la guerra è caccia a spie e traditori
È l’alba del 25 giugno quando nella prigione centrale di Urmia, nel nord est dell’Iran, a pochi chilometri del confine turco, le guardie entrano nelle celle di tre detenuti curdi. Accusati di spionaggio in favore di Israele per aver collaborato con il Mossad in uno dei tanti omicidi mirati, poco dopo i tre vengono impiccati. I loro nomi, Idris Ali, Azad Shojaei e Rasoul Ahmad Rasoul, si perdono nell’interminabile lista delle esecuzioni sommarie che in questi giorni stanno decimando le fila dei prigionieri politici nelle carceri iraniane.
Iran e spie: per il capo della magistratura è tempo di accelerare le esecuzioni
Dal cessate il fuoco del 24 giugno episodi come quello che ha portato alla morte dei tre curdi, stanno diventando la normalità. Il capo della magistratura iraniana, Gholamhossein Mohseni Ejei, ha detto a chiare lettere che intende accelerare le esecuzioni di tutti coloro che sono ‘sospettati’ di collaborare con Israele. Retate e interrogatori si susseguono a tutte le ore nelle principali città. Sono oltre 700, secondo le autorità iraniane, le persone arrestate dall’inizio della guerra con l’accusa di aver collaborato con il nemico. I capi di imputazione variano dalla diffusione di informazioni false all’utilizzo di droni nei pressi di siti militari, fino alla produzione di esplosivi e alla collaborazione con gruppi di opposizione interna.
Il pugno duro, però, non frena il dissenso.
C’è chi, tra la gente comune in Iran, ha il coraggio di esprimersi. Di sera, camminando per le strade delle grandi città, non è più così raro ascoltare il celebre slogan delle rivolte interne: “Marg bar Khamenei”, morte a Khamenei. In queste ore le autorità iraniane hanno perfino emesso un provvedimento che permette di arrestare e processare immediatamente chi diserta dalle forze dei Pasdaran, custodi della Rivoluzione islamica. La narrativa ufficiale dipinge il cessate il fuoco come il risultato della sconfitta imposta a Israele dopo i durissimi attacchi missilistici di Teheran.
L’ayatollah Khamenei, però, non è ancora uscito dal bunker per annunciare pubblicamente la vittoria alla folla dei suoi sostenitori. Il carcere di Evin, colpito da un bombardamento israeliano il 23 giugno, è parzialmente vuoto: i detenuti sono stati portati nella prigione di Fashaouyeh, a sud di Teheran. Si teme il peggio: nel corso del trasferimento i nomi di molti prigionieri, in gran parte appartenenti al gruppo dissidente del Consiglio Nazionale della Resistenza dell’Iran, sono scomparsi dai registri. È la tradizionale avvisaglia di nuove esecuzioni di massa. Fonti locali parlano anche di prigionieri smistati in località segrete per il timore di un’insurrezione all’interno delle carceri.
Continua la campagna “No to Executions Tuesdays”
La campagna “No to Executions Tuesdays”, iniziata ben prima della guerra con Israele, è arrivata ormai alla 74° settimana. Le proteste contro le condizioni di detenzione disumane hanno coinvolto nello sciopero della fame 47 prigioni sull’intero territorio iraniano. Tutti temono che la guerra con Israele si trasformi nel pretesto per una nuova ondata di repressione. “Siamo sulla buona strada”, dichiarano fiduciosi i dissidenti ancora in libertà. “Oggi non è più come due settimane fa. Il popolo è in agguato e le forze di repressione hanno ricevuto un duro colpo alla colonna vertebrale, militare e politica. Il regime non ha perso solo il controllo dello spazio aereo”.
In Iran, però, tutti hanno imparato a proprie spese una triste verità: alla resa dei conti, le influenze esterne pesano più di ogni altro fattore. Il presidente americano Donald Trump, che nei giorni scorsi aveva ventilato un possibile cambiamento di regime, è tornato sui suoi passi allo scattare del cessate il fuoco. Tuttavia, a nessuno è sfuggita due giorni fa la nomina di Rudolph Giuliani nel Consiglio consultivo per la sicurezza interna di Trump, un organismo noto per operare dietro le quinte all’interno dello staff del presidente. L’ex avvocato, da sempre sostenitore dei dissidenti del Consiglio Nazionale della Resistenza dell’Iran, potrebbe essere la carta decisiva.
Intanto, sul fronte opposto, la caccia alle spie che costella ogni guerra, contagia anche Gerusalemme. Due giorni fa tre israeliani sono stati separatamente arrestati con l’accusa di aver fornito informazioni sensibili ad agenti iraniani in cambio di soldi. Uno di loro veniva pagato 500 dollari per ogni compito svolto. Negli ultimi mesi decine di israeliani sono stati arrestati con l’accusa di collaborare online con Teheran. Fino a oggi solo pochi sono stati processati.
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