Esteri

Trump e Netanyahu: fine della guerra a Gaza entro due settimane

Secondo l'intesa quattro stati arabi dovrebbero governare la Striscia al posto di Hamas

di Monica Mistretta -


Stati Uniti e Qatar vedono il cessate il fuoco con l’Iran come un’opportunità per un accordo tra Israele e Hamas a Gaza. Le proposte sono sul tavolo e la diplomazia è al lavoro. Secondo il quotidiano Israel Hayom, è stata la telefonata tra Netanyahu e Trump a dare forma lunedì a una prima bozza d’intesa. Stando alle indiscrezioni del quotidiano israeliano, la guerra finirà tra due settimane.

La bozza d’intesa per la fine della guerra in due settimane: il destino di Gaza

La leadership di Hamas verrà esiliata, anche se non è chiaro con quali mezzi. Gaza verrà governata da quattro stati arabi, tra cui Egitto ed Emirati Arabi Uniti, che si assumeranno anche l’onere della ricostruzione. Ma a una condizione: la presenza nella Striscia dell’Autorità Nazionale del presidente Mahmud Abbas e la futura creazione di uno stato palestinese. E qui arriva il primo inghippo: Netanyahu ha già fatto sapere che di Abbas a Gaza non vuole sentire parlare. Quanto ai civili palestinesi nella Striscia, potranno scegliere: chi vorrà andarsene, verrà accolto da stati arabi non precisati. In perfetto stile Trump.

Due settimane, intanto, possono essere davvero lunghe e le incognite si moltiplicano. Da mercoledì i camion che trasportano a Gaza cibo e generi di prima necessità sono fermi al confine con la Striscia. Le autorità israeliane hanno revocato i permessi quando il ministro delle Finanze Bezalel Smotrich, dell’estrema destra religiosa, ha minacciato di lasciare il governo Netanyahu nel caso in cui non si trovi immediatamente un meccanismo che impedisca ad Hamas di appropriarsi degli aiuti umanitari.
Poco dopo l’annuncio del nuovo stop, sui canali social sono apparsi video che ritraggono i camion degli aiuti umanitari scortati da gruppi armati affiliati ad Hamas a Gaza City. È qui, nel nord della Striscia, che opera l’Onu con le sue organizzazioni, come il World Food Programme. Nessuna di queste strutture ha accettato di cooperare con la Gaza Humanitarian Foundation, creata da Stati Uniti e Israele e accusata di sottostare agli obiettivi militari dell’esercito israeliano. Quest’ultima è l’unica a essere rimasta attiva, ma solo al Centro Sud.

Aiuti per Gaza: 48 ore di tempo per un nuovo piano operativo, ma la crisi umanitaria non aspetta

Le autorità di Gerusalemme hanno dato 48 ore di tempo all’esercito israeliano per presentare un nuovo piano operativo in grado di sottrarre una volta per tutte ad Hamas il controllo sugli aiuti. L’organizzazione palestinese è accusata di rivenderli a caro prezzo alla popolazione per mantenere la sua sopravvivenza militare e politica. Certo è che, alla luce delle nuove indiscrezioni sul possibile accordo tra Trump e Netanyahu, il blocco degli aiuti umanitari potrebbe avere anche un altro obiettivo: costringere Hamas a cedere una volta per tutte. Soprattutto se lo stop degli aiuti a Gaza dovesse avere una durata superiore alle 48 ore. E la cosa potrebbe essere plausibile, dal momento che ieri Itamar Ben-Gvir, il politico di estrema destra sanzionato da diversi paesi occidentali insieme a Smotrich per incitazione alla violenza in Cisgiordania, ha chiesto che la questione degli aiuti nella Striscia venga nuovamente sottoposta al voto.

Nel frattempo, la crisi umanitaria nella Striscia non aspetta. Non è solo il cibo a scarseggiare. Ormai da mesi l’accesso all’ acqua potabile non è più una garanzia per i due milioni e trecentomila palestinesi. A paralizzare le forniture non è solo la carenza di carburante necessario per far funzionare i pozzi e la rete idrica, soprattutto nel sud della Striscia, ma anche la mancanza di infrastrutture igienico-sanitarie, distrutte dai bombardamenti. Gli impianti di desalinizzazione e i sistemi di pompaggio sono quasi tutti fuori uso.

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Di cibo, tra l’altro, si può anche morire. Raggiungere i generi alimentari può essere mortale: sono centinaia i palestinesi rimasti feriti o uccisi mentre erano in coda per gli aiuti. Ieri altre sei persone sono state uccise e decine ferite dai soldati israeliani nei pressi dei centri di distribuzione degli alimenti. Perfino la Gaza Humanitarian Foundation, istituita da Israele e Stati Uniti per sottrarre gli aiuti dal controllo di Hamas, ha presentato un documento alle autorità militari israeliane in cui denuncia ‘possibili violenze’ da parte dell’esercito contri i propri convogli.

Ma i militari israeliani non sono gli unici a sparare su chi è in cerca di cibo e acqua. Il 19 giugno il quotidiano dell’Autorità Palestinese Al-Hayat Al-Jadida, vicino al presidente Mahmud Habbas, ha pubblicato in arabo un articolo in cui ha accusato apertamente Hamas di sparare sulla propria gente nelle vicinanze dei centri della Gaza Humanitarian Foundation. Lo scopo dell’organizzazione sarebbe quello di mantenere il monopolio sugli aiuti. Secondo le numerose testimonianze raccolte dal quotidiano nella Striscia, squadre della morte dell’unità Al-Sham avrebbero il compito di uccidere le persone per dissuaderle dal fare affidamento sui centri umanitari gestiti da Israele e Stati uniti. Un leader di Hamas l’ha chiamata: ingegneria della fame. Il problema è che gli ingegneri non sono solo israeliani.
Nessuno fino a oggi ha proposto una soluzione credibile per proteggere i civili palestinesi nella Striscia. Mercoledì, mentre Gaza veniva ancora una volta chiusa a tutti gli aiuti umanitari, Abbas è intervenuto nella questione con una lettera rivolta a Trump. Il contenuto della lettera non è noto, ma quasi certamente riguarda il possibile accordo sulla Striscia. Abbas non ha fatto alcun accenno pubblico al blocco degli aiuti umanitari. Meno di un mese fa, scrivendo a Macron e al principe saudita Mohammed bin Salman, si era dichiarato pronto ad assumere il pieno controllo governativo e militare di Gaza, chiedendo ad Hamas di deporre le armi. I civili palestinesi possono attendere.


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