Parla il produttore Michele Calì: “Fondi pubblici a film fantasma: ecco come affonda il cinema italiano”
Produttore da oltre quarant’anni, voce fuori dal coro del cinema italiano, Michele Calì non le manda a dire. Con il suo nuovo cortometraggio Con un filo di voce, affronta il tema della violenza sulle donne e punta a portarlo nelle scuole, nei festival e in televisione. Ma accanto all’impegno civile, Calì denuncia senza mezzi termini le storture del sistema: fondi pubblici a pioggia, film fantasma, favoritismi, mancanza di meritocrazia. “Il cinema italiano è nel caos”, dice. E propone: “Cancelliamo il MIBACT e ripartiamo da zero”. Un’intervista diretta, tra denuncia e speranza, in cui si parla di cultura, responsabilità e futuro.
Ci racconta “Con un filo di voce”? Qual è l’obiettivo e i valori che porta?
“L’idea iniziale era quella di produrre un lungometraggio contro la violenza sulle donne. Però ho pensato che fosse più pratico partire da un cortometraggio, della durata di circa 20 minuti. Questo permette di farlo circolare facilmente e di utilizzarlo in modo didattico. Ho già preso contatti con il ministero dell’Istruzione, la Regione Veneto, l’assessorato alle politiche sociali, affinché il film venga distribuito gratuitamente nelle scuole medie e superiori e possa fare un percorso educativo. Perché purtroppo, oggi il problema tocca anche le ragazze molto giovani, di 14-15 anni. Nel film ci sarà una prefazione del Procuratore Capo di Verona, che spiegherà l’aspetto giuridico del reato di violenza sulle donne. Inoltre, ci sarà una canzone di Antonio Maggio, che ha vinto Sanremo Giovani nel 2018, con un testo proprio contro la violenza sulle donne per cui è stato fatto un videoclip che include anche Gessica Notaro, sfregiata con l’acido dall’ex. Non solo: nel cortometraggio abbiamo un cast di spessore: Giancarlo Giannini, Riccardo Polizzy Carbonelli, Francesca Loy, Igor Barbazza… Insomma, un cast importante”.
E sul fronte della distribuzione?
“L’idea è proporre a Mediaset un contenitore in prima o seconda serata, con ospiti, per parlare di violenza contro le donne. All’interno si inserirebbe il cortometraggio, con dibattito prima e dopo. Non solo, il film verrà presentato il 28 agosto al Festival del Cinema di Venezia, poi faremo un’anteprima a ottobre a Verona e da lì inizierà il percorso educativo. Questo è un progetto che è stato finanziato dalla Manni Spa, azienda siderurgica di Verona che quest’anno festeggia 80 anni e ha deciso di investire in cultura. È entrata anche Fondazione Marcegaglia, molto attiva su queste tematiche. Ora siamo in post-produzione, sono molto fiducioso”.
Già nel 2023 a L’identità aveva denunciato il problema dei fondi pubblici spesi per film fantasma. In queste settimane, in effetti, è esploso lo scandalo: era stato profetico.
“Purtroppo, sì. Basta guardare cosa è successo: c’è quel Rexal Ford (alias di Francis Kaufmann, indagato per l’assassinio di Villa Pamphili, ndr) a cui hanno dato 863 mila euro di Tax Credit e non ha neppure acceso la telecamera. Ora ci sono 120 film sotto osservazione, sospetti di aver ottenuto fondi pubblici senza avere mai prodotto nulla. Guardi il caso di Alessandro Gassman: solo lui per le produzioni sia come regista che come attore, tra Tax Credit e contributi selettivi, ha ricevuto 40 milioni di euro. E alcuni suoi film sono stati visti da pochissime persone, uno in particolare, che ha ricevuto un milione dal MIBACT, è stato visto solamente da 29 persone”.
Ma come è possibile?
“Il problema è il MIBACT. Bisognerebbe buttarlo giù come un palazzo pericolante e ricostruirlo da zero. Serve un sistema diverso, una struttura autonoma, come le Film Commission regionali, che siano indipendenti dal Ministero della Cultura, ovviamente sempre sorvegliati da un organo di controllo. Ma sa qual è il problema? I soliti amici degli amici. Alcuni grandi nomi, Verdone, De Sica, Albanese – persone che stimo e conosco – vanno sul velluto. Le commissioni, secondo me, neanche leggono le sceneggiature. Si affidano al nome. A me, per Un amore così grande, film visto da milioni di persone e venduto in tutto il mondo, non è arrivato nemmeno un euro di contributo selettivo. C’è un dissesto evidente”.
Eppure il film ha avuto successo…
“Certo. Il problema è che non c’è meritocrazia. Io sono sicuro che nessuno in commissione lo abbia nemmeno letto. Parliamo di una commissione di critici cinematografici e registi che non sono nemmeno pagati. E ci sono due opzioni: sono incompetenti o sono in malafede. Il cinema italiano sta andando a scatafascio perché non c’è più la professionalità. Basterebbe copiare il sistema francese e il cinema riprenderebbe a funzionare. Ma da noi è un caos totale. E l’unico modo per salvarlo è cancellare il MIBACT”.
In teoria, per ottenere i fondi servono controlli severi. Ma non sempre avviene così, giusto?
“Esatto. Io per Infiniti ho dovuto caricare 15 ciak su Vimeo per dimostrare che stavo girando. E poi tutta la contabilità al revisore, che ci ha messo tre mesi. Una volta verificato tutto – se c’è ancora possibilità del credito di imposta – lo Stato carica il credito sul cassetto fiscale. A quel punto lo puoi cedere a banche, assicurazioni ecc, purché siano soggetti a vigilanza. Ma la verifica c’è. E invece a quel Rexal Ford hanno dato 863 mila euro senza uno straccio di prova. Inoltre, la società di produzione a cui si è appoggiato lui, la Coevolution di Roma, ha fatto 13 film tra il 2022 e il 2024, di cui 12 sono fantasma, mai stati realizzati”.
Ora qualcosa si sta muovendo dal ministero per i film “sospetti”.
“Stanno controllando i film a campione, ma come diceva mia madre in siciliano: ’Dopo che hanno rubato la Madonna, ci hanno messo le grate’. Stanno facendo i controlli sul lavoro che non è stato fatto dalla direzione Cinema e Audiovisivo, allora guidata da Nicola Borrelli. A che serve controllare ora, dopo che i soldi sono spariti?”
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