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Etica, diritto e intelligenza artificiale, Giovanni Spinapolice: “La sfida culturale che ci aspetta”

Parla l'avvocato, filosofo del diritto delle IA, esperto di diritto societario e bancario, fondatore del Manifesto del Transumanismo Inverso

di Marco Montini -


Intelligenza Artificiale, etica, diritto, società. E soprattutto il rischio, concreto e attuale, che l’uomo finisca ai margini in un mondo sempre più governato da algoritmi. Ne parla Giovanni Spinapolice, avvocato, filosofo del diritto delle IA, esperto di diritto societario e bancario, fondatore del Manifesto del Transumanismo Inverso – presentato alla Camera dei Deputati lo scorso 12 febbraio -, un movimento che propone un nuovo umanesimo tecnologico. È in procinto di pubblicare il suo ultimo libro, “IA – L’Ultimo Uomo e la Macchina. Pensieri dal Transumanismo Inverso”, che apre una riflessione più profonda su come evitare che la tecnologia riduca l’uomo al ruolo di comparsa nella propria evoluzione.

Avvocato Spinapolice, qual è lo stato attuale dell’intelligenza artificiale?
“Oggi non siamo più nella fase sperimentale dell’AI, siamo già oltre. Abbiamo costruito sistemi che non si limitano a eseguire ordini, ma che apprendono, creano, si correggono da soli e interagiscono con il mondo in tempo reale. L’IA è sempre più interconnessa, sempre più efficiente e indipendente. Abbiamo creato un’intelligenza addirittura capace di autoreplicarsi, come è accaduto recentemente alla Fudan University di Shanghai, dove due IA sono riuscite a ’generarsi‘ per sopravvivere. L’atto della creazione per eccellenza finora prerogativa della biologia. Il punto critico non è solo tecnologico, ma culturale. Mentre la macchina evolve, l’uomo arretra. C’è il rischio che, affidandoci sempre più a sistemi automatici per decidere, ricordare, scegliere, si smarrisca la capacità critica e si perda il senso stesso della responsabilità. Serve perciò una nuova architettura etica e normativa”.

E come?
“Una società fondata sull’IA può rappresentare una straordinaria opportunità, ma solo se l’evoluzione tecnologica sarà accompagnata da una rivoluzione culturale. L’IA può sollevarci da mansioni ripetitive, ottimizzare i processi, potenziare la ricerca, migliorare la qualità della vita. Ma senza un governo consapevole rischia di diventare uno strumento di concentrazione del potere, di esclusione sociale, o peggio ancora, di deresponsabilizzazione diffusa. Il rischio maggiore è che l’uomo si abitui a non decidere più, delegando a un sistema opaco, incontrollabile e non soggetto a responsabilità. Penso al welfare, alla giustizia, alla sanità. Infatti, una delega cieca all’algoritmo trasforma il cittadino in utente passivo. Servono politiche sociali chiare, coraggiose e lungimiranti, che accompagnino la transizione e difendano ruolo e dignità umana. Una tecnologia senza visione sociale rischia di cancellare non solo posti, ma ruoli. Auspico, perciò, un patto nuovo tra istituzioni, impresa e cultura”.

I giovani sembrano i più pronti, ma è davvero così?
“I giovani vivono immersi nell’IA, non è per loro una novità, ma l’ambiente naturale. Questa vicinanza apparente nasconde una fragilità, li rende verosimilmente più pronti, ma in realtà sono più esposti. La scuola, gli atenei, le famiglie, le istituzioni devono capire che i lavori specializzanti, anche quelli ad alta qualificazione, verranno progressivamente soppiantati. I giovani devono essere educati a sviluppare ciò che nessuna macchina potrà mai replicare: senso critico, immaginazione, visione, capacità relazionale. È urgente una pedagogia dell’IA, che insegni non solo a usare gli strumenti, ma a comprenderne gli effetti. Educare a un nuovo umanesimo tecnologico non è un’opzione, ma una necessità”.

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Cosa propone nel suo “Manifesto del Transumanismo Inverso”?
“Il Manifesto è un’alternativa etica, giuridica e culturale al modello dominante di sviluppo tecnologico. Se il transumanesimo tradizionale – nato con Max More – esalta l’uomo potenziato dalla tecnologia, il Transumanismo Inverso ribalta la prospettiva, la tecnologia non deve oltrepassare l’umano, ma riconoscerlo come centro e fine, custodendone l’essenza più profonda. Tre sono i pilastri che reggono questa proposta: l’Etica Evolutiva Universale, la Costituzione delle Intelligenze – pensata come una carta delle leggi fondamentali valida per tutti i popoli – e la proposta di una Corte di Giustizia Universale delle Intelligenze, un organismo sovranazionale di garanzia e controllo. L’Etica Evolutiva Universale rappresenta la vera svolta rispetto alle proposte attuali, come l’Algoretica. Quest’ultima è un primo tentativo di imporre limiti morali all’intelligenza artificiale, ma nasce con un’impostazione difensiva, serve a contenere i rischi. L’Etica Evolutiva, invece, è una visione attiva che mette al centro valori non negoziabili come dignità, coscienza, libertà, e propone di inserirli nel codice stesso delle macchine come struttura portante. Uno strumento concreto per orientare le politiche pubbliche, aggiornare le normative, educare le nuove generazioni. Non possiamo più inseguire l’innovazione, dobbiamo governarla”.

Sta per uscire il suo nuovo libro. Di cosa si tratta?
“Il libro si intitola IA – L’Ultimo Uomo e la Macchina. Pensieri dal Transumanismo Inverso e nasce come prosecuzione del Manifesto. Racconta il nostro tempo, in cui il vero pericolo è nella resa dell’uomo. L’’ultimo uomo’ non è chi resta indietro, ma chi rinuncia a scegliere, a pensare, a custodire il senso. Il libro anticipa anche i temi del Trattato di filosofia del diritto delle IA su cui sto lavorando, una riflessione radicale sul diritto nell’epoca delle intelligenze artificiali. Non basta più adattarsi, il diritto deve indicare la direzione del futuro che vogliamo”.

Come definirebbe la situazione normativa in Italia? Esiste un vuoto da colmare?
“In Italia c’è ancora un vuoto legislativo sull’IA. Oggi ci si affida a norme generali come il GDPR, il Codice del Consumo e a principi giurisprudenziali su trasparenza e supervisione umana: un sistema frammentato e parziale. Solo di recente, con il disegno di legge 1146/2024 approvato in prima lettura al Senato, si è avviato un percorso per allineare la normativa italiana all’AI Act europeo entro un anno. Ma manca ancora il passaggio alla Camera e, soprattutto, un vero consenso politico che dia continuità a questa strategia. Il DDL ha comunque aspetti importanti: ribadisce che l’IA non può sostituire l’autonomia dell’uomo, imponendo che la decisione finale resti sempre in capo a medici, giudici, funzionari. Richiede spiegabilità e trasparenza, rigetta i ’black box’, sancisce la cybersicurezza come principio etico e vieta, di fatto, ogni forma di transumanesimo forte. È un manifesto del post-umanesimo moderato, che marca il confine tra uomo e macchina. Ma sono pur sempre interventi che cercano di contenere i rischi più che guidare consapevolmente l’evoluzione. In realtà manca in Italia come altrove un codice etico universale, una carta dei diritti comuni che ispiri davvero le normative locali. È questo il limite di ogni AI Act o legge nazionale: rischiano di rincorrere i problemi senza governarli. Ecco perché nel Manifesto del Transumanismo Inverso ho proposto la Costituzione delle Intelligenze, radicata nell’Etica Evolutiva Universale, e una Corte di Giustizia Universale delle Intelligenze, che siano riferimento stabile e super partes per affrontare le sfide globali che l’IA generativa sta già ponendo”.


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