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Cassazione, respinto ricorso: Stasi resta in semilibertà

La Procura Generale di Milano aveva presentato l'Istanza l'11 aprile scorso dopo l'intervista a "Le Iene"

di Redazione -


Alberto Stasi resta in semilibertà. La Corte di Cassazione ha respinto il ricorso presentato dalla Procura generale presso la Corte d’Appello di Milano contro l’ordinanza del 9 aprile 2025, con la quale il Tribunale di Sorveglianza milanese aveva concesso a Stasi la misura alternativa. Condannato in via definitiva a 16 anni per l’omicidio di Chiara Poggi avvenuto a Garlasco il 13 agosto 2007, continuerà dunque a beneficiare del regime di semilibertà.

La Procura generale di Milano aveva presentato ricorso contro l’ordinanza del Tribunale di Sorveglianza milanese che, l’11 aprile scorso, aveva ammesso Stasi al regime di semilibertà. L’ufficio guidato dal procuratore generale Francesca Nanni ritiene che il provvedimento presenti “vizi di legittimità”, non solo nella motivazione ma anche in altri aspetti della decisione.

Tra i punti centrali del ricorso figura l’intervista rilasciata da Stasi al programma televisivo “Le Iene”, andata in onda il 30 marzo scorso, durante un permesso premio. Secondo la sostituta procuratrice generale Valeria Marino, l’ex studente universitario non aveva ricevuto alcuna autorizzazione specifica per partecipare alla trasmissione, contravvenendo così alle condizioni previste per i permessi premio, concessi esclusivamente per motivi familiari, culturali o di lavoro. Per la Procura, questa violazione rappresenta solo uno dei diversi elementi che renderebbero illegittima l’ordinanza del Tribunale di Sorveglianza.

L’udienza di oggi si è svolta con modalità “cartolare”, ovvero senza la presenza fisica delle parti. I giudici della Suprema Corte hanno esaminato il ricorso, le eventuali memorie difensive e le osservazioni della Procura generale della Cassazione, che potrà decidere se allinearsi o meno alla linea espressa da Milano.

Nei giorni scorsi, i genitori di Chiara Poggi hanno dichiarato in più occasioni il loro dissenso rispetto a qualsiasi forma di beneficio per il condannato. La parola ora spetta alla Cassazione, chiamata a esprimersi su uno dei casi giudiziari più controversi degli ultimi vent’anni in Italia.


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