Esteri

Cessate il fuoco a Gaza: tutti i nodi dei negoziati tra Israele e Hamas

di Monica Mistretta -


Sono favorevole alla sconfitta di Hamas, tuttavia più portiamo avanti l’operazione militare, più mettiamo a rischio la vita degli ostaggi”. Le parole del capo di Stato maggiore dell’esercito israeliano Eyal Zamir, in una delle ultime riunioni con i ministri del Paese, farebbero pensare a un possibile cambio di rotta su Gaza, in linea con i nuovi sviluppi diplomatici di queste ore.

Ieri uno dei confidenti più vicini a Netanyahu, il ministro per gli Affari strategici Ron Dermer, ha incontrato a Washington il segretario di Stato americano Marco Rubio e l’inviato speciale per il Medio Oriente Steve Witkoff. Il 7 luglio sarà lo stesso Netanyahu a incontrare Trump. Il presidente americano persegue il piano avviato nella sua precedente amministrazione: ampliare gli accordi di Abramo tra Israele e i Paesi arabi. In lista adesso ci sono Siria, Libano, Arabia Saudita e Indonesia. Un obiettivo impraticabile con la guerra in corso a Gaza e i morti tra i civili palestinesi.

I contorni dell’accordo su Gaza sono noti, ma le recenti indiscrezioni di ufficiali israeliani e mediatori arabi fanno pensare a un quadro più complesso. Le trattative indirette tra Israele e Hamas coinvolgono una pletora di intermediari in Qatar ed Egitto: due Paesi arabi che hanno agende diametralmente opposte in Medio Oriente. Il tutto sotto la supervisione attenta del diplomatico statunitense Steve Witkoff. Un addetto all’ufficio politico di Netanyahu ha brillantemente riassunto gli ultimi sviluppi: “Ron Dermer è negli Stati Uniti per fare pressioni sugli americani affinché facciano pressione sui qatarioti a fare pressioni su Hamas”. “Il Qatar è la chiave di tutto”, ha aggiunto sibillino.

L’ultima proposta di Witkoff parla di un cessate il fuoco immediato di due mesi con la liberazione entro i primi sette giorni di 28 ostaggi israeliani, di cui 10 ancora in vita, in cambio del rilascio di un cospicuo numero di prigionieri palestinesi. Sul tavolo ci sarebbe anche un parziale ritiro dell’esercito israeliano dalla Striscia. Il periodo di 60 giorni servirebbe ad avviare i negoziati per un accordo definitivo e la fine della guerra. Con una postilla: l’impegno israeliano a far rivivere il moribondo sogno di uno stato palestinese.

Gli scogli in vista dell’accordo sono due: Hamas vorrebbe liberare gli ostaggi nell’arco dei 60 giorni del cessate il fuoco anziché nei primi giorni. Inoltre, chiede che a Israele venga impedito di riprendere le operazioni militari nel caso l’accordo di pace naufraghi ancora una volta. Witkoff ha già fatto sapere di considerare queste richieste inaccettabili. Da parte sua, Israele ha messo il suo carico: chiede il completo disarmo di Hamas e l’esilio della sua leadership dalla Striscia.

Ely Karmon, ricercatore senior presso l’Istituto Internazionale per l’Antiterrorismo di Herzliya, in Israele, individua un disaccordo dai contorni più incerti. In un’intervista con la francese Radio J ha dichiarato: “È difficile stabilire chi controllerà gli aiuti umanitari, la polizia e il futuro politico di Gaza. C’è un piano, sostenuto da egiziani e Paesi del Golfo, che prevede il rientro a Gaza di una riformata Autorità nazionale palestinese. Tuttavia, le incertezze che circolano in merito al risultato dell’attacco israeliano e statunitense ai siti nucleari iraniani si riflettono con modalità simili sulle previsioni a Gaza”.

Nella Striscia, intanto, le parole del capo di Stato maggiore dell’esercito israeliano Eyal Zamir non hanno ancora riscontro. Nelle ultime ore sono stati colpiti oltre 100 obiettivi, con un bilancio di 80 morti. Trump, tuttavia, è fiducioso: l’accordo arriverà la settimana prossima. Confida sui ben oliati meccanismi di sempre. Ieri ha comunicato al Congresso un piano per la vendita di sistemi militari all’aviazione israeliana per un valore di 510 milioni di dollari. Un piccolo incentivo per un futuro di pace.


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