Attualità

Frana sull’Alemagna, Cortina isolata da sud. Polemiche in Piemonte

Bellunese come in un paesaggio lunare: odore di terra, detriti fin sotto i guardrail, silenzio spezzato solo dai motori delle ruspe

di Ivano Tolettini -


Un altro crollo nel Bellunese: la montagna ha ceduto di nuovo nella notte sopra San Vito di Cadore ed è emergenza. L’apprensione in paese è tanta. Alle 3 del mattino, una colata detritica di centinaia di metri cubi si è staccata dalla Croda Marcora e ha invaso la statale Alemagna con un fronte di oltre 100 metri, alto più di due. È la prima volta che un evento del genere travolge in pieno l’arteria principale tra Belluno e Cortina.

Statale Alemagna sotto il fango: interventi dei vigili del fuoco

L’asfalto è scomparso sotto tonnellate di fango e rocce. La scena, stamani, era quella di un paesaggio lunare: odore di terra, detriti fin sotto i guardrail, silenzio spezzato solo dai motori delle ruspe e dal via vai di mezzi della Protezione Civile. Alcuni residenti sono usciti con la torcia in mano, increduli. I bar aprivano lentamente, come in un giorno d’inverno, anche se fuori il cielo d’estate prometteva un’altra giornata difficile. Vigili del Fuoco sono intervenuti già dalle prime luci, una ventina di mezzi schierati lungo la linea del disastro. Il sindaco di San Vito, Franco De Bon, ha seguito le operazioni sul campo: “Un fronte imponente, mai visto prima. La montagna ha ceduto in piena notte, senza preavviso visibile. È il quarto evento franoso in pochi giorni. Stiamo monitorando anche il versante opposto: ci sono segnali da non sottovalutare”.

Cortina d’Ampezzo è di fatto isolata da sud. Nessun mezzo riesce a transitare, se non in elicottero. La SS51 resterà chiusa almeno tre giorni. I danni al manto stradale sono estesi, e il rischio di nuovi distacchi impone la massima prudenza. Il presidente della Regione Luca Zaia ha firmato nella notte l’estensione dello stato d’emergenza regionale: “Siamo davanti a un evento senza precedenti recenti. I soccorritori stanno lavorando con turni serrati. Ma nessuno rientrerà se non in condizioni di assoluta sicurezza”.

Il sorvolo in elicottero ha mostrato con chiarezza il fronte, con lingue di fango spinte fino al margine del Boite. Sotto, i tecnici hanno installato sensori di movimento e posizionato barriere mobili. La speranza è che la pioggia prevista in serata non peggiori ulteriormente la situazione. Intanto, torna la paura anche per il Ru Secco, dove nel 2015 morirono tre persone. Il Comitato No Variante, che da anni si oppone al nuovo tracciato lungo il Boite, denuncia la pericolosità della strettoia sotto la statale. “Non basta allargare il bacino a valle – dicono – serve una messa in sicurezza strutturale vera. Stiamo aspettando un’altra tragedia?”. De Bon replica: “È un’opera idraulica austriaca del 1830. Finora ha tenuto”. Ma la tensione si legge anche nei volti degli abitanti, che oggi girano in paese con mascherine non per il Covid, ma per non respirare la polvere fine che ha imbiancato tutto: case, alberghi, piazze. “Sembra neve, ma è terra”, commenta una barista spruzzando acqua sul marciapiede.

Il dramma a Bardonecchia

Non mancano le polemiche a Bardonecchia dopo la morte di Franco Chiaffrino, il 70enne fruttivendolo trascinato dalla piena del torrente Fréjus. Il fango lo ha sorpreso. È la seconda alluvione violenta in meno di due anni. A nulla sono valsi i lavori dopo il disastro dell’agosto 2023. Ieri così il ministro della Protezione Civile Nello Musumeci ha dichiarato: “Si è costruito dove non si doveva. La manutenzione è mancata. I nodi vengono al pettine”. La sindaca Chiara Rossetti ha risposto con fermezza: “Invito il ministro a venire. Non è giusto generalizzare. Noi ci stiamo attrezzando con un sistema d’allarme come a Courmayeur. L’obiettivo è intervenire entro 4 minuti dall’allerta. Ma serve il sostegno dello Stato, non lo scaricabarile”. Il ponte di viale della Vittoria resta chiuso. Molte abitazioni sono ancora inaccessibili. La strada per Oulx è interrotta. In Valle Argentera, alcune malghe sono isolate. Sul versante francese, in Savoia, si contano altri danni. La linea ferroviaria Milano-Parigi è bloccata da domenica sera. Dunque, il bilancio è pesante: un uomo morto, un’intera valle ferita, e la sensazione che possa succedere di nuovo, da un giorno all’altro.

Marmolada, il ricordo

Mentre il Paese lotta con frane, alluvioni e polvere, torna la memoria della tragedia della Marmolada. Il 3 luglio 2022, un seracco si staccò da Punta Rocca. Una valanga di ghiaccio e roccia travolse escursionisti e famiglie. Undici morti, otto erano veneti. Oggi, a Bassano, Asolo, Cittadella, i familiari si ritrovano. Non solo per commemorare, ma per testimoniare. Convegni, letture, marce silenziose. “Non è solo dolore – dicono – è un impegno a fare meglio. Per chi è rimasto e per chi verrà”. Sul palco, glaciologi, guide alpine, medici. “I segnali c’erano”, ricorda Jacopo Gabrieli, del CNR. “Non possiamo dire che non si sapeva. Il problema non è solo il ghiacciaio: è la testa dell’uomo”. E così, San Vito, Bardonecchia, Marmolada si tengono idealmente per mano. Tre nomi, una sola storia: la fragilità dell’Italia di montagna, dove il cambiamento climatico è già qui, e non aspetta. Dove ogni torrente può diventare valanga, ogni silenzio può precedere un boato. E dove la memoria è l’unica diga che può ancora salvarci a causa di un ambiente che richiede manutenzioni adeguate e consapevolezza collettiva. Il “non si ripeta mai più” non dev’essere monito retorico.


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