Attualità

Il viaggio senza ritorno dei giovani italiani “In Italia mancano analoghe opportunità”

“Occorre agevolare un mercato del lavoro dinamico, puntando sull’aggiornamento”

di Marco Montini -


In un Paese che trabocca di storia, bellezza e potenziale, sta crescendo un vuoto silenzioso ma assordante, allo stesso tempo: quello lasciato dai suoi giovani. Sono i futuri medici, ricercatori, ingegneri, designer, artisti del domani. Hanno zaini pieni di sogni, lauree sudate e una valigia spesso troppo piccola per contenere tutto il coraggio che serve per andarsene.

Non partono per capriccio, ma per necessità, a volte per desiderio. Non cercano solo lavoro: cercano prospettive, riconoscimento, dignità. L’Italia li forma, li accende, e poi li perde. Mentre altrove li accolgono a braccia aperte. La fuga dei giovani cervelli non è solo un fenomeno sociale o economico.

Negli ultimi anni, il nostro Paese ha assistito a un incremento costante della migrazione giovanile verso l’estero: un fenomeno delicato e complesso che sullo sfondo istituzionale ha attraversato diversi governi, senza che quest’ultimi riuscissero ad invertire la rotta e a riportare a casa quelle giovani generazioni che dalla stessa sono scappati. I numeri parlano chiaro.

In tredici anni, dal 2011 al 2023, sono 550mila i giovani italiani di 18-34 anni emigrati all’estero. Al netto dei rientri, il dato è pari a 377mila. Si stima che al capitale umano uscito corrisponda un valore di 134 miliardi. Dati impietosi e concreti, quelli del Rapporto “I giovani e la scelta di trasferirsi all’estero”, realizzato dalla Fondazione Nord Est (e presentato nell’ottobre scorso al CNEL, il Consiglio nazionale dell’Economia e del Lavoro, ndr). Che tradotto, vuol dire: per ogni giovane che arriva in Italia dai Paesi avanzati, otto italiani fanno le valigie e vanno all’estero.

L’Italia, inoltre, si piazza tra gli ultimi posti in Europa per attrazione di giovani, contro il 34% della Svizzera e il 32% della Spagna. Insomma, siamo di fronte a un’emigrazione intensa. Tra le motivazioni principali, che spingono i nostri ragazzi a varcare i confini nazionali, ci sarebbero le migliori opportunità lavorative le opportunità di studio e formazione, e la ricerca di una qualità della vita più alta, mentre solamente una piccola parte considererebbe il salario più elevato come principale ragione per l’espatrio. Dunque, benessere percepito, visione del futuro e condizione professionale spiegano sostanzialmente perché il 33% dei giovani expat italiani ha intenzione di rimanere all’estero, contro il 16% che sa che ritornerà in Italia (prevalentemente per ragioni familiari). Il 51% andrebbe dove si presenteranno le migliori opportunità. Non a caso, l’87% degli expat valuta positivamente l’esperienza all’estero. “La principale ragione per restare all’estero è la mancanza in Italia di analoghe opportunità di lavoro, seguita dall’opinione che nel Bel Paese non ci sia spazio per i giovani, che non ci sia un ambiente culturalmente aperto e internazionale e che la qualità della vita sia migliore negli altri Paesi”, si spiega ancora nel rapporto della Fondazione Nord Est.

Aumentano gli espatri dei giovani italiani

Non solo giovani ma anche i giovani. Nel 2024, secondo l’Istat, aumentano di oltre il 20% le emigrazioni dei cittadini italiani per l’estero, che passano da 158mila del 2023 a poco meno di 191mila, facendo registrare così il valore più elevato finora osservato negli anni Duemila. L’aumento è dovuto esclusivamente all’impennata di espatri di cittadini italiani (156mila, +36,5% rispetto al 2023) che si dirigono prevalentemente in Germania (12,8%), Spagna (12,1%) e Regno Unito (11,9%), mentre circa il 23% delle emigrazioni dei cittadini stranieri è riconducibile al rientro in patria dei cittadini romeni. Il saldo migratorio con l’estero complessivo, rimane comunque positivo, pari a +244mila unità, frutto di due dinamiche opposte: da un lato, l’immigrazione straniera, ampiamente positiva (382mila), controbilanciata da un numero di partenze esiguo (35mila); dall’altro, il flusso con l’estero dei cittadini italiani caratterizzato da un numero di espatri (156mila) che non viene rimpiazzato da altrettanti rimpatri (53mila). Il risultato è un guadagno di popolazione di cittadinanza straniera e una perdita di cittadini italiani.

La fuga dei giovani dall’Italia è chiaramente tema centrale della agenda di politica e istituzioni, che si interrogano su come stoppare, anzi invertire il trend. “Come evitare la fuga di cervelli? In Parlamento – spiega a L’identità Pino Bicchielli, vicepresidente del gruppo Noi Moderati alla Camera dei Deputati – abbiamo chiesto una serie di impegni al governo proprio al fine di rendere l’Italia attrattiva per i ricercatori, italiani e stranieri. Il fulcro è creare un ecosistema di opportunità di crescita e di espressione. Ma il fenomeno è molto più ampio e va compreso per essere affrontato: se un giovane lascia il suo Paese è perché non vede prospettive di crescita. E allora occorre favorire il raggiungimento dell’indipendenza economica, agevolare un mercato del lavoro dinamico, puntando sull’aggiornamento continuo delle competenze, e implementare il welfare, anche aziendale, per creare contesti lavorativi più flessibili e conciliabili con la vita privata. In sintesi – chiosa Bicchielli -, adeguare il sistema Paese alle nuove generazioni e alle sfide del futuro”.

Mentre per Daniele Leodori, esponente nazionale dem e segretario regionale Pd Lazio, “La fuga dei giovani è una delle più gravi emergenze del Paese. Per ogni ragazzo che arriva, otto fanno le valigie. Eppure, si può invertire la rotta – dice convinto a L’identità.- Il Lazio, negli anni di governo Zingaretti, ha tracciato una strada concreta. Con il programma “Torno Subito”, oltre 6.000 giovani hanno studiato o lavorato all’estero per poi rientrare e applicare le competenze acquisite sul territorio. Abbiamo investito risorse europee in ricerca, start-up, coworking, formazione avanzata, e attivato incentivi per il ricambio generazionale nelle imprese. Il Lazio è diventato un laboratorio di buone pratiche: attrattivo per i talenti, fertile per l’innovazione, capace di generare opportunità reali. Oggi questa esperienza può e deve diventare un modello nazionale: serve una strategia che premi merito, mobilità, qualità della vita e innovazione. Se ha funzionato qui, può funzionare ovunque. Ma serve visione. E la volontà politica di investire davvero nelle nuove generazioni”.


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