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“Io ineleggibile, loro fanno politica senza candidarsi”: Bobbio attacca la legge Cartabia

"Una magistratura ambigua perché si definisce neutrale ma poi esercita un potere politico forte"

di Redazione -


di Anna Tortora

Luigi Bobbio, magistrato ed ex senatore, denuncia le contraddizioni della legge Cartabia sulle candidature dei magistrati. Secondo lui, la normativa esclude chi sceglie di mettersi in gioco apertamente, mentre molti magistrati continuano a influenzare la politica senza mai passare dal voto.

Bobbio punta il dito contro la legge Cartabia

Luigi Bobbio rompe il silenzio e punta il dito contro la legge Cartabia sulle candidature dei magistrati, confermata anche dall’attuale governo Meloni. Per Bobbio, questa normativa, nata con l’intento di limitare la politica dei magistrati, finisce per colpire chi sceglie di mettersi in gioco pubblicamente, mentre molti magistrati di vertice continuano a influenzare la politica senza mai esporsi direttamente.

In una dichiarazione senza mezzi termini, Bobbio afferma:”Le norme Cartabia, in tema di candidature dei magistrati, che avevano lo scopo dichiarato di impedire, o rendere più difficile, ai magistrati di fare politica, purtroppo confermate da questo governo, hanno conseguito il brillante risultato che è sotto gli occhi di tutti: io, che non ho mai usato il mio lavoro per manifestare e applicare idee politiche sono praticamente ineleggibile sempre, pure al consiglio di quartiere. I magistrati della Cassazione e quelli della Anm, senza nemmeno pensarci a candidarsi, continuano a fare politica corporativa e di sinistra con i loro provvedimenti e le loro iniziative e se ne fregano della Cartabia. Laddove si dimostra che il problema della democrazia non sono i magistrati che ci mettono la faccia, si schierano e si candidano smettendo di lavorare. Il problema sono invece quella larghissima parte di magistrati che, senza candidarsi, fanno politica con i loro provvedimenti. Con i miei complimenti al governo Meloni”.

“Magistratura ambigua”

Secondo Bobbio, la vera questione è l’ambiguità di una magistratura che si definisce neutrale, ma che spesso esercita un potere politico forte attraverso sentenze e decisioni, senza sottoporsi mai al giudizio degli elettori. Nel frattempo, chi sceglie la trasparenza politica viene di fatto escluso.

Una riflessione che riapre il dibattito sul ruolo della magistratura nella democrazia italiana e sulla necessità di una regolamentazione più equa e trasparente.


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