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Parla Luca Ferlaino: “Tutto il mondo è sui social, un potente strumento di partecipazione. Ma l’odio online è l’altra faccia della medaglia”

di Laura Tecce -


“Oggi l’intero paese è sui social. I social sono diversi e si rivolgono a pubblici diversi. Noi li analizziamo tutti e sulla base delle interazioni capiamo la propensione dell’utente a sposare o non sposare una causa o a reagire o non reagire a determinati messaggi”, così Luca Ferlaino, presidente di SocialCom, agenzia di comunicazione digitale specializzata nell’analisi dei dati e nella creazione del consenso.

“Il mio cliente tipo solitamente è un’azienda di dimensioni medio-grandi che si rivolge a una platea abbastanza ampia, fatta di stakeholder, utenti o consumatori. E poi abbiamo una linea di agenzia che fa comunicazione politica. Per la politica l’aspetto dell’interazione è molto importante: mentre il sondaggio fotografa un dato statico, cioè io ti chiamo in quel giorno a quella tale ora e raccolgo la tua opinione, con l’interazione questa viene raccolta in tempo reale, perché oggi è tutto molto liquido e molto veloce e molto immediato. La peculiarità dei social è appunto l’interazione immediata”.

Quali sono gli ultimi temi che hanno creato migliaia di interazioni? Il matrimonio di Bezos sicuramente.
“Chiaramente il tema del matrimonio, soprattutto nel pubblico femminile, crea una sorta di immedesimazione. E in questo caso c’è anche l’uomo ricco e potente, la location suggestiva… Insomma ci sono stati degli elementi che si prestano molto a commenti. Questi grandi eventi mainstream – penso anche ai funerali di Papa Francesco – che comunque vengono raccontati dai media tradizionali, dal web, dai social, fanno sì che l’utente voglia partecipare con il suo commento, con la sua interazione, con la sua condivisione. Ma pensiamo anche al Festival di Sanremo: in teoria dovrebbe essere un evento ‘vecchio’, invece, grazie ai social è diventato un evento ‘giovane’ perché il pubblico non è solo telespettatore passivo ma può anche commentare. C’è chi si focalizza sulla musica, chi sul messaggio di un’artista chi invece commenta gli outfit. Ognuno trova la sua nicchia a secondo della ‘tribù’ alla quale appartiene”.

Purtroppo c’è anche l’altra faccia della medaglia… Mi riferisco agli hater. Feroci soprattutto con i personaggi pubblici.
“Sì, perché chiaramente c’è un meccanismo di invidia e c’è anche un problema di percezione e di polarizzazione. Io faccio sempre ai miei clienti questo esempio: se stai tenendo un discorso in una sala convegni e di fronte hai, diciamo, mille persone, fra queste ci sarà statisticamente una quota che in pensa che stai dicendo delle sciocchezze ma non te lo verranno mai a dire in faccia. Invece, sui social loro, dato che sono disintermediati, sentono, di poterlo fare. La cosa grave è non saper distinguere tra la critica, che può essere giusta o sbagliata, ma che comunque va accettata, e l’insulto, o la minaccia, e la violenza. E poi, cosa altrettanto grave, non si ha la percezione: molti, e devo dire in particolare i cosiddetti ‘boomer’ pensano che sui social si possa fare tutto senza conseguenze. E ovviamente non è così”.

Partiamo da un dato: in una vostra recentissima ricerca avete evidenziato 16 miliardi di interazioni online in un anno: cosa dicono questi numeri sulla capacità dei social di dettare l’agenda mediatica?
“Sì, questo è un dato molto interessante, perché queste sono state le interazioni registrate in un anno su tutti i social, sul tema news, tutte le notizie dalla cronaca alla politica allo sport. Vorrei sottolineare un aspetto: se si confronta il corpo elettorale – oggi strutturalmente vota più o meno tra il 50 e il 60 per cento degli aventi diritto – con i 44 milioni di utenti mensili dei siti di informazione e con la massa enorme di interazioni, sarebbe necessario trovare una nuova modalità per far partecipare i cittadini alla vita politica. Penso soprattutto alle nuove generazioni, se dessimo loro la possibilità di votare online con lo spid, probabilmente lo farebbero. Credo che sia sbagliato demonizzare le persone che non si recano alle urne, in particolare i giovani, bisogna dare degli strumenti nuovi per partecipare in un modo in cui loro si sentono confident”.

Hai da poco dato vita ad un altro progetto, Unita. Di che si tratta?
“Siamo un consorzio formato da cinque agenzie: chi fa comunicazione, chi eventi, chi ufficio a stampa e chi fa invece si occupa di tutta la parte di gadgettistica e allestimento. Cinque realtà italiane, orgogliosi di essere italiani, che finora si sono occupate di clienti privati e che hanno deciso di fare rete per partecipare alle gare di comunicazione pubblica, le gare degli enti, delle società partecipate, nelle regioni, dei ministeri”.


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