Adolescenti ieri e oggi: dagli anni ’70 ai Maranza, il cambiamento di una generazione
C’è stato un tempo in cui gli adolescenti sognavano di cambiare il mondo. Era l’Italia degli anni ’70, quella dei cortei, dell’impegno politico, delle assemblee studentesche dove si discuteva — a volte con troppa foga, a volte con utopia — di giustizia sociale, di parità, di libertà. Gli studenti, in quell’epoca, volevano contare, essere protagonisti della storia. Magari non sempre riuscivano a farlo, ma ci credevano. E anche quando protestavano contro le istituzioni, le riconoscevano. La scuola era vista come un luogo centrale, i professori come figure autorevoli — talvolta contestate, ma mai derise.
Negli anni ’80 qualcosa cambia. L’adolescente non è più l’idealista, ma il consumatore. Nasce la figura del paninaro: giacche firmate, scooter, fast food, musica pop. È la stagione del disimpegno, ma anche della costruzione personale. Meno rivoluzioni, più ricerca del benessere. I valori collettivi lasciano il posto all’affermazione individuale. Non si sogna più di cambiare il mondo, ma di riuscire a starci dentro con stile. Anche in questo caso, però, il rispetto verso le regole, verso la scuola, verso le figure adulte resta presente, seppur con toni più ironici e distaccati.
E poi arrivano gli adolescenti di oggi. Figli di un mondo iperconnesso, globalizzato, confuso. Un mondo dove l’identità è liquida, e il senso del limite sempre più sfocato. Oggi l’adolescenza è multietnica, visivamente libera, ma anche profondamente frammentata. Si muove tra TikTok e Instagram, vive nella sovraesposizione ma spesso si sente invisibile. In questo contesto nascono fenomeni come quello dei Maranza: ragazzi rumorosi, aggressivi, provocatori, con look sgargianti e atteggiamenti sprezzanti. Più che una vera sottocultura, una reazione sociale. Un disagio che si esprime con la maleducazione, la sfida aperta alle regole, l’assenza di filtri.
E la scuola? Oggi spesso è percepita non più come luogo di crescita, ma come obbligo burocratico. Il professore non è più guida, né autorità, ma solo un “dipendente” con cui contrattare il voto. Niente più dialettica, solo silenzi o aggressioni verbali. In aula manca l’ascolto, manca il rispetto. È la crisi del patto educativo tra adulti e giovani. E quando viene meno il riconoscimento reciproco, viene meno la possibilità stessa di educare. Eppure, in mezzo a questo scenario preoccupante, resistono adolescenti sensibili, lucidi, consapevoli. Ragazzi che cercano punti fermi, anche se non li trovano. Il compito, oggi più che mai, è ricostruire un ponte tra le generazioni. Perché dietro l’arroganza del disinteresse, si nasconde spesso solo una domanda d’aiuto non ascoltata. E forse, il primo passo, è proprio tornare a credere che un adolescente possa ancora sognare un mondo diverso. Magari non perfetto. Ma più rispettoso e più vero.
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