Hebron, 5 sceicchi chiedono Emirato in cambio della secessione dall’Anp
In una lettera indirizzata al ministro dell’Economia israeliano Nir Barkat chiedono la secessione dall’Autorità Nazionale Palestinese e la possibilità di entrare negli Accordi di Abramo
“Siamo favorevoli alla pace e al riconoscimento di Israele in cambio della ratificazione di un Emirato di Hebron”. L’appello porta la firma di cinque influenti capi clan della città palestinese, in Cisgiordania. In una lettera indirizzata al ministro dell’Economia israeliano Nir Barkat, pubblicata dal Wall Street Journal, gli sheikh di Hebron chiedono la secessione dall’Autorità Nazionale Palestinese e la possibilità di entrare negli Accordi di Abramo come emirato autonomo. Gli accordi di Oslo, a loro giudizio, non hanno portato nulla di buono. “Il paradigma dei due Stati è fallito e l’Autorità Palestinese non ha più la fiducia della sua gente” chiosa il ministro israeliano Barkat. Inutile dire che a capo dell’iniziativa del nuovo emirato, c’è l’influente capo clan Wadee’ al-Jaabari, figura discussa, ospite abituale della casa di Barkat a Gerusalemme.
La dichiarazione potrebbe essere letta come una delle tante provocazioni di questi giorni, se non fosse stata resa pubblica alla vigilia dell’incontro alla Casa Bianca tra Trump e Netanyahu. È ormai un mese che si parla di un cambio di rotta dell’attuale amministrazione americana sul processo degli accordi di Oslo. A sollevare le incertezze era stata una dichiarazione dell’ambasciatore statunitense in Israele, Mike Huckabee, uomo di fiducia di Trump. Al giornalista del quotidiano statunitense Bloomberg che il 10 giugno gli chiedeva se lo Stato palestinese fosse ancora uno degli obiettivi della politica estera americana, Huckabee aveva risposto: “Non penso”. In cambio, aveva prospettato la possibilità di ritagliare un territorio alternativo in uno degli stati arabi vicini.
La conferenza Onu indetta a New York il 20 giugno per la creazione di uno Stato palestinese, ampiamente boicottata da Trump, è stata cancellata in seguito all’attacco di Israele in Iran. Il 20 giugno, al suo posto, è arrivata la decisione della Corte Suprema statunitense di dare il via libera a eventuali cause legali contro l’OLP e l’autorità di Ramallah. La decisione consentirebbe alle vittime del terrorismo palestinese di richiedere risarcimenti direttamente nei tribunali americani. Una vera e propria ‘spada di Damocle’ sulle finanze già dissanguate del governo di Mahmud Abbas.
Intanto, l’Unione Europea lunedì ha versato altri 202 milioni di euro in supporto all’Autorità Palestinese. Parte di un pacchetto triennale di un bilione e 800mila dollari annunciato in aprile, i soldi, secondo i funzionari di Ramallah, non sarebbero sufficienti nemmeno a pagare i salari della pubblica amministrazione. Un buco nero al quale contribuisce anche il governo israeliano, che da tempo trattiene una grossa fetta dei dazi e delle tasse raccolte per conto dall’Autorità Nazionale palestinese sui beni in entrata in Cisgiordania. Motivo: gli stipendi pagati da Ramallah alle famiglie dei terroristi uccisi o in carcere. A complicare la situazione c’è il fatto che l’Arabia Saudita non ha versato quanto promesso per incrementare gli aiuti dell’Unione Europea. Non sono arrivati nemmeno i 100 milioni di dollari degli Emirati Arabi Uniti e i fondi stanziati da altri Stati arabi. Ma il collasso non è solo economico.
Nell’ultimo mese, diversi palestinesi hanno perso la vita per mano dei coloni israeliani in Cisgiordania. Dalla spirale di violenza, scatenata in concomitanza con la guerra a Gaza nell’ottobre del 2023, i responsabili escono sistematicamente impuniti. La percezione generale è che l’Autorità Nazionale Palestinese non sia più in grado di difendere la propria gente.
Netanyahu ha più volte ribadito che nel futuro di Gaza non ci sarà un ruolo per Hamas. E nulla indica che, al di fuori dell’Europa, ci sia qualcuno disposto a giocare la carta dell’Autorità Palestinese di Ramallah. Che ci siano piani alternativi è evidente. Lo dimostra anche l’incontro di ieri tra il presidente israeliano Isaac Herzog e alcuni imam ‘moderati’ europei. Trump vuole un accordo per Gaza entro la settimana, dopo l’incontro con Netanyahu: non resta che aspettare.
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