Economia

Le lettere di Trump, stangate Tokyo e Seul mentre l’Ue spera

Stangata via Truth a Giappone e Corea del Sud, Bruxelles: "Qui non è arrivato niente"

di Giovanni Vasso -


Giappone e Corea del Sud inaugurano lo Squid Game dei dazi: le lettere firmate e inviate alle 18 sono state (anche) postate, poco dopo, sui social dal presidente Donald Trump. La Casa Bianca ha deciso: pur coltivando la speranza di “continuare a essere partner commerciali per tanti anni ancora”, saranno imposte tariffe nella misura del 25 per cento sia alle aziende nipponiche che a quelle coreane. I dazi entreranno in vigore il 1 agosto. È una stangata, vera. Che conferma quella già disposta il 2 aprile, prima della sospensione. E accompagnata da una cordiale ammonizione riportata con la dovuta importanza nelle due missive, tanto simili da apparire dei prestampati: non azzardatevi a tassare ulteriormente le merci americane alla frontiera altrimenti i dazi saliranno ancora nella misura della stessa percentuale che verrà applicata sui beni made in Usa. Altro che Taco, The Don fa sul serio. E che se dice che applicherà un ulteriore 10% di dazi ai Paesi “vicini” al Brics, c’è da credergli. Anche perché, Trump, ce l’ha con il presidente brasiliano Lula e, giusto un’ora prima di inaugurare la carrellata di lettere tariffarie, ha dedicato un post a Jair Bolsonaro, suo storico alleato caduto in disgrazia evocando le capacità di quest’ultimo nel trattare i temi del commercio. Scott Bessent, segretario Usa al Commercio, si frega le mani. Ha avuto problemi con la posta, “era intasata da lettere provenienti da ogni parte del mondo” ancor prima di spedire le annunciate missive commerciali. “Si tratta più che altro di un grazie per voler commerciare con gli Usa”, ha affermato in un’intervista alla Cnbc, tentando di sgonfiare la tensione. “Avremo diversi annunci nelle prossime 48 ore. Saranno un paio di giorni impegnativi: ciò che preoccupa il presidente Trump è la qualità degli accordi, non la quantità”. Ecco, appunto. Chi non è (ancora) rientrato in questo giro di lettere è avvisato. Leggi Ue. Che, intanto, fa sapere di non aver ricevuto, almeno non nella prima serata di ieri, alcuna lettera da Trump: “Le domande relative alle lettere inviate dagli Stati Uniti dovrebbero essere indirizzate agli Stati Uniti. Allo stato attuale, non mi risulta che la Commissione abbia ricevuto questa lettera”, ha detto il commissario europeo all’Economia, Valdis Dombrovskis. Lettere e dazi, per ora, non ne sono arrivate. C’è da coltivare grandi speranze, almeno in un rush finale. A Bruxelles, nel pomeriggio, si respirava aria di ottimismo. Si faceva riferito a una chiamata distensiva tra Ursula von der Leyen e Trump. Si è tentato di affondare il colpo sul gong, giungendo a un accordo quadro che non si sarebbe concretizzato. Poi, nel pomeriggio, la chiamata urgente e superblindata del Coreper II, il comitato dei rappresentanti permanenti. In pratica, gli ambasciatori sono stati riuniti in fretta e furia, “e senza dispositivi elettronici” (come ha riferito una fonte Ue) per parlare proprio della vicenda dazi in modo da informarne i rispettivi Paesi.
Ursula von der Leyen, mai come ieri, era in altre faccende affaccendata. All’Europarlamento, s’è dovuta difendere dalla mozione di sfiducia presentata dai deputati dei gruppi a destra dell’emiciclo. Che le hanno rinfacciato il caso Bourla, ancora una volta. Tirando in ballo il ricordo, dall’Est, della fu Urss Ancora una volta. Ursula, inferocita, ha parlato di “manuale della destabilizzazione”, di partiti che puntano a disgregare l’Ue e ha fatto una divisione tra i buoni, “le forze pro-Ue e pro-democrazia”, e i cattivi, “estremisti e amici di Putin”. Quindi ha affermato che il caso Bourla è “semplicemente una bugia” poiché se è vero che era “in contatto con i massimi rappresentanti delle aziende produttrici dei vaccini che ci avrebbero fatto uscire dalla crisi” lo è altrettanto che “i negoziati contrattuali sono stati condotti dalla Commissione e dagli Stati membri” e che, dunque, “ogni singolo contratto negoziato è stato esaminato prima di essere firmato da ciascuno dei 27 Stati membri”. Ergo: niente segreti né “clausole nascoste” né “obblighi di acquisto”. Se ne parlerà al voto, giovedì. Per i dazi, e forse anche per le lettere dall’America, occorrerà, invece, attendere molto meno.


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