Carcere di Prato: aggressioni, proteste, violenze e inchieste: cosa succede
Un'aggressione, una persecuzione e una protesta. È stato aperto così il vaso di Pandora del carcere La Dogaia
Nel carcere di Prato sta succedendo davvero di tutto. A differenza di molte altre strutture penitenziarie italiane, spesso sovraccariche e in emergenza cronica, l’istituto toscano si distingue per una situazione apparentemente sotto controllo per quanto riguarda la capienza. Secondo i dati ufficiali forniti dal Ministero dell’Interno aggiornati al 6 luglio, nel penitenziario risultano presenti 591 detenuti, a fronte di una capienza regolamentare di 589 posti. Un margine molto ridotto, che non evidenzia condizioni di sovraffollamento drammatico come quelle registrate in molte altre realtà carcerarie del Paese. Tuttavia, se il numero dei detenuti non sembra rappresentare un’emergenza, sono ben altri i problemi che caratterizzano la quotidianità all’interno dell’istituto.
Lo aveva già sottolineato lo scorso anno l’Associazione Antigone, da anni impegnata nella tutela dei diritti delle persone private della libertà, durante una visita ispettiva condotta nella struttura. Quello che è emerso da quell’osservazione, e che continua a essere confermato anche oggi, è che il carcere di Prato ospita una popolazione detenuta estremamente complessa. Dall’esterno una prigione formalmente in equilibrio, dall’interno si registrano profonde criticità.
Carcere di Prato “sotto inchiesta”: cosa è successo
Tutto è iniziato – o meglio, tutto è cominciato ad emergere – con un violento episodio di aggressione. Protagonista, l’uomo che aveva confessato il duplice femminicidio di Denisa Maria Paun – più conosciuta con il cognome del suo ex marito, Adas – e di Ana Maria Andrei, è stato attaccato da un altro detenuto. L’aggressione è avvenuta in modo brutale: l’uomo è stato colpito con un pentolino contenente olio bollente, versato su di lui con l’intenzione di procurargli gravi ustioni. Una dinamica violenta che non sarebbe affatto la prima. Quest’ultimo episodio, in ordine di tempo, ha fatto da preludio a una serie di eventi che, nel giro di pochi giorni, hanno delineato una situazione sempre più fuori controllo.
Una massiccia perquisizione a seguito dell’aggressione è stata condotta il 28 giugno scorso all’interno dell’istituto penitenziario e ha portato alla luce un traffico illegale di telefoni cellulari e sostanze stupefacenti. Una vasta operazione che ha coinvolto 127 detenuti: 27 sono stati formalmente indagati, mentre altri 100 sono sospettati di aver utilizzato telefoni cellulari, schede SIM e droga introdotti illegalmente nel carcere, anche nelle sezioni di media e alta sicurezza. Secondo la procura, tre agenti della polizia penitenziaria avrebbero ricevuto fino a 2.000 euro per far entrare i dispositivi: ne sono stati sequestrati 34 in un anno. Alcuni cellulari venivano nascosti in palloni lanciati nel cortile, altri in pacchi non controllati durante le visite familiari. Una volta all’interno, erano occultati in doppi fondi ricavati in oggetti di uso comune o nei muri delle celle. Tra gli indagati anche un’addetta alle pulizie trovata con cocaina in un pacchetto di sigarette.
Non solo: a inizio luglio un detenuto è riuscito ad evadere, diventando il quinto caso di evasione nel giro di un solo anno e non si tratta solo di falle nei sistemi di sicurezza, ma anche di carenze di personale e scarsa manutenzione delle infrastrutture. Ai singoli episodi, lo scorso fine settimana (tra il 4 e il 5 luglio) è seguita una rivolta, scoppiata nella zona di media sicurezza. Alcuni detenuti si sono barricati all’interno della prima sezione, opponendosi all’ingresso degli agenti penitenziari e dando vita a momenti di grande tensione: sono stati rovesciati e danneggiati carrelli del vitto, incendiati materassi e coperte, sfondati i cancelli delle celle con le brande in metallo, tanto da rendere necessario l’invio di rinforzi per sedare la protesta e riportare la calma.
Le inchieste aperte dalla procura
Una concatenazione di eventi che ha portato la Procura di Prato a rendere pubblica una serie di inchieste che riguardano il carcere de La Dogaia, definito un ambiente “fuori controllo”, segnato da un “tasso pervasivo di illegalità”. Le indagini, avviate da oltre un anno, riguardano episodi di corruzione, traffico illecito di oggetti e stupefacenti, evasioni e violenze tra detenuti.
Tra le altre sono in corso anche due delicate inchieste per presunte violenze sessuali tra detenuti. Nel primo caso, nel settembre 2023, un detenuto brasiliano avrebbe ripetutamente violentato il suo compagno di cella, un uomo di origini pakistane, sotto minaccia di un rasoio; nel secondo, risalente al gennaio 2020, due detenuti avrebbero stuprato e torturato ripetutamente un nuovo detenuto, tossicodipendente e omosessuale, colpendolo con ferocia, infliggendogli ustioni e costringendolo ad abusi sessuali di gruppo. Entrambi i casi sono ora al vaglio della magistratura e, in particolare, il primo caso sarebbe prossimo alla conclusione.
La situazione drammatica del carcere di Prato fotografa un sistema comune a molti istituti penitenziari italiani. Ma se il caso di La Dogaia sta attirando particolare attenzione è anche grazie all’approccio trasparente adottato dalla Procura, che ha scelto di informare l’opinione pubblica. Un segnale che sollecita a un confronto più ampio e urgente sullo stato del sistema penitenziario, sulla tutela dei diritti dei detenuti e sulle garanzie di sicurezza, legalità e dignità per tutti.
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