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Cinese arrestato a Malpensa per spionaggio: “Non sono stato io, scambio di persona”

di Rita Cavallaro -


Potrebbe diventare un caso diplomatico tra Roma e Washington l’estradizione di Zewei Xu, il tecnico informatico cinese di 33 anni arrestato all’aeroporto di Malpensa lo scorso 4 luglio su mandato degli Stati Uniti, che lo accusano di fare parte di una rete di hacker agli ordini di Pechino per spiare le ricerche sui vaccini anti-Covid all’Università del Texas nel 2020. Il governo americano, a seguito di una delicata inchiesta dell’Fbi, dal novembre 2023 aveva messo una “taglia” sulla testa del cinese e ora che è stato catturato a Milano vuole che l’Italia lo rispedisca negli Usa per il processo, in cui rischia una condanna a 32 anni di carcere.

Un lungo iter per l’estradizione del cinese arrestato a Malpensa

Nulla però è stato deciso al momento e l’iter per l’eventuale estradizione potrebbe essere non solo lungo, ma tortuoso. Intanto perché l’informatico si oppone fermamente alla richiesta statunitense. Ieri, infatti, si è tenuta l’udienza per l’identificazione davanti alla quinta sezione penale della corte d’Appello di Milano, a seguito della convalida dell’arresto che ha portato Zewei nel carcere di Busto Arsizio. Alla giudice Veronica Tallarida, Xu ha ribadito la sua innocenza, ipotizzando che si tratta di uno “scambio di persona. Non avevo motivo per compiere ciò che mi viene contestato, qualcuno potrebbe aver violato e usato il mio account, usato la mia identità, il mio nome e cognome molto diffuso. Nel 2019-2020 sparì un mio telefono, che motivo avevo per fare spionaggio usando un account col mio nome e cognome?“, ha spiegato il cinese.

D’altronde al centro delle indagini dell’Fbi c’è proprio l’account rintracciato di Xu, che sarebbe stato usato per le attività di presunto spionaggio. A quel punto Zewei “ha negato l’estradizione e ha confermato di non aver nulla a che fare con questa vicenda“, ha riferito al termine dell’udienza l’avvocato Enrico Giarda, che difende il 33enne insieme alla collega Simona Candido. Presente in aula anche la moglie del tecnico informatico accusato di essere una spia del regime cinese. La coppia era in Italia per una vacanza di pochi giorni, una sorta di viaggio di nozze rimandato a lungo e interrotto proprio al momento dello sbarco a Malpensa. “Sono molto spaesati, com’è facile immaginare: sono arrivati da lontano, sono stati separati e lui è stato portato in una casa circondariale con accuse difficili da comprendere. Chiaramente devono metabolizzare questa situazione inaspettata”, ha detto l’avvocato, il quale ha fatto sapere che la donna, al momento, non tornerà a Shangai, dove vivono moglie e marito con la figlia di sette mesi, perché vuole restare accanto a Xu.

Ha già chiesto un prolungamento del visto turistico ottenuto per il breve viaggio di famiglia e l’autorizzazione per poter far visita al 33enne in carcere. Così come il consolato cinese a Milano “ha chiesto di poter visitare il proprio connazionale e ha già ottenuto l’autorizzazione da parte della corte d’Appello”, ha spiegato il difensore Giarda. Il legale ha poi fatto riferimento alla procedura di estradizione, che prevede tempi lunghi, segnati da una serie di passaggi istituzionali. Il primo, entro dieci giorni dall’esecuzione della misura, e la conferma del provvedimento da parte del ministero della Giustizia italiano. Le autorità Usa hanno invece quaranta giorni, che decorrono sempre dal giorno della cattura, il 3 luglio, per inviare tutta la documentazione che ha portato all’emissione nel 2023 dell’ordine di arresto. E così “la prossima udienza verrà fissata probabilmente dopo la pausa estiva”, ha detto l’avvocato Giarda.

Le mosse della difesa del presunto hacker

La difesa dell’informatico, nel frattempo, è intenzionata a chiedere una misura cautelare alternativa al carcere. “Ci stiamo muovendo in questa direzione, ma ci sono prima una serie di passaggi tecnici da attendere a livello ministeriale”, ha detto Giarda. Passaggi delicati, anche alla luce di due casi analoghi, che hanno avuto epiloghi diversi ma che, in passato, hanno suscitato l’irritazione di Washington. La prima vicenda ha scatenato un caso diplomatico: la fuga di Artem Uss, il criminale russo arrestato a Milano nell’ottobre del 2022 mentre tentava di imbarcarsi su un volo Roma-Istanbul, messo ai domiciliari in attesa dell’estradizione negli Usa ed esfiltrato dall’Italia nel marzo del 2023 con un’operazione pianificata nei dettagli.

Poi c’è stato l’arresto dell’ingegnere iraniano Mohammad Abedini Najafabadi, sospettato di aver violato le sanzioni statunitensi contro Teheran, in particolare per presunte esportazioni di tecnologia verso l’Iran. Arrestato lo scorso dicembre, nonostante la richiesta di estradizione Usa il ministero della Giustizia ha deciso di rispedirlo nel suo Paese. Una scelta ponderata, perché dopo la cattura dell’ingegnere Teheran aveva recluso nel carcere di Evin, sulla base di accuse inconsistenti, la giornalista Cecilia Sala, liberata poi l’8 gennaio scorso. E ora, con Xu, Roma si trova di nuovo tra due fuochi: da una parte la Cina, che ha già chiesto all’Italia di rilasciare l’informatico, dall’altra gli Stati Uniti, che vogliono la testa della spia di Pechino.


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