Politica

Il decreto Infrastrutture alla prova dell’aula alla Camera. Proteste dell’opposizione

di Giuseppe Ariola -


Rinvio al primo ottobre 2026 del blocco dei motori diesel euro 5 previsto in Piemonte, Lombardia, Veneto ed Emilia-Romagna, risorse aggiuntive ad Autostrade dello Stato Spa e per il potenziamento di alcune tratte ferroviarie, anche dell’Alta velocità, sblocco di interventi per il rifacimento o la realizzazione di importanti arterie viarie sparse sull’intero territorio nazionale e di infrastrutture considerate indifferibili e urgenti, potenziamento del Sistema di Monitoraggio Grandi Opere e la ripresa delle attività, attraverso la nomina di appositi commissari, di cantieri progetti fermi anche solo sulla carta: sono queste le principali linee sulle quali si muove il decreto Infrastrutture che approverà oggi in aula alla Camera, dove con ogni probabilità il governo porrà la questione di fiducia. Il decreto scadrà, infatti, il 20 luglio e, dopo oltre un mese di esame nelle commissioni Ambiente e Trasporti di Montecitorio, adesso deve essere rapidamente trasmesso al Senato per la sua conversione in legge entro i tempi stabiliti. L’iter del provvedimento è stato finora tutt’altro che semplice, sia per le mediazioni che si sono rese necessarie alla luce delle istanze provenienti dai territori, delle quali diversi deputati di entrambi gli schieramenti si sono fatti interpreti, che per alcuni nodi particolarmente delicati che non è stato semplice sciogliere per la maggioranza quando si sono presentati. Su tutti l’emendamento firmato dai relatori con i quali si prevedeva l’aumento dei pedaggi autostradali, così da assicurare all’incirca ulteriori 90 milioni di euro alle casse dell’Anas per la manutenzione e la gestione delle tratte di competenza. La proposta, pur essendo stata presentata dalle forze di maggioranza, ha sollevato un polverone tra gli stessi alleati di governo, tanto più dopo che l’opposizione è salita sulle barricate per denunciare quella che ribattezzato come un “tassa sulle vacanze”. Alla fine, lo stesso ministro dei Trasporti e vicepremier, Matteo Salvini, si è espresso contro l’aumento e l’emendamento è stato ritirato per poi essere ripresentato una volta stralciata la parte relativa ai rincari dei pedaggi. Le polemiche, però, non si sono fermate qui e, anzi, si sono susseguite per l’intera giornata di ieri. Dal nuovo testo della maggioranza è stata infatti eliminata anche un’altra parte, quella che avrebbe consentito ad Anas di avvalersi del Fondo centrale di garanzia per autostrade e ferrovie metropolitane per far fronte ai maggiori costi che la società ha già preventivato di dover affrontare. Alla fine, dunque, nell’emendamento è rimasta solamente l’eliminazione dell’obbligo della notifica preventiva alla Commissione Ue della sottoscrizione della convenzione tra ministero dei Trasporti, Anas e ministero dell’economia. Un’ulteriore modifica che è arrivata sul tavolo della commissione all’ultimo momento, appena in tempo per essere approvata per poi conferire il mandato ai relatori a riferire in aula. Una questione procedurale che ha provocato nuove proteste da parte delle opposizioni che ormai da tempo e su diversi provvedimenti puntano il dito contro il governo per i tempi stretti che scadenzano il dibattito parlamentare. Sul fronte della maggioranza, invece, nel rispedire al mittente le accuse provenienti dai partiti di minoranza, si è già iniziato a cantare vittoria per i risultati incassati e per le risorse che sono state destinate alle svariate opere che si sono finanziate con il decreto Infrastrutture.


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