Attualità

“Imbrattare è reato” e Gasparri “Chi sporca paga”

"Nessuna tolleranza contro chi sporca la bellezza e distrugge il patrimonio dell’Italia"

di Redazione -


di ANNA TORTORA

L’imbrattamento di muri, monumenti e beni altrui non è un gesto da poco e soprattutto è ancora un reato. Lo ha confermato la Corte Costituzionale, dichiarando che l’articolo 639 del codice penale è pienamente legittimo e non viola la Costituzione.

Il reato

Secondo la Consulta, la norma – che punisce chi deturpa o imbratta cose mobili o immobili altrui – persegue finalità pienamente conformi alla Carta: la tutela della proprietà privata, del decoro urbano e del patrimonio culturale, valori riconosciuti dagli articoli 9 e 42 della Costituzione.

La Corte ha anche sottolineato che il legislatore ha agito nel rispetto del principio di proporzionalità, scegliendo sanzioni adeguate per condotte che, pur non gravi quanto il danneggiamento, hanno comunque una rilevanza sociale e giuridica.

La pena prevista va da una multa fino a 1.000 euro nei casi ordinari, fino alla reclusione fino a un anno e multa fino a 3.000 euro se il fatto riguarda beni storici o artistici. In quest’ultimo caso, il reato è procedibile d’ufficio.

Gasparri: Chi sporca paga

Ma non tutti si fermano al dato giuridico. Il senatore Maurizio Gasparri (Forza Italia) ha commentato con una posizione netta e senza sfumature: “Chi sporca paga. Nessuna tolleranza contro chi sporca la bellezza e distrugge il patrimonio dell’Italia”.

Parole che suonano come una richiesta di intransigenza, sul piano politico e culturale. Per Gasparri, la risposta alle scritte abusive, ai graffiti illegali e agli atti di vandalismo deve essere chiara e severa. La sola conferma del reato, per quanto legittima, non basta.

Un atto di inciviltà

In un Paese come l’Italia, dove ogni angolo può essere un frammento di storia, l’imbrattamento non è solo un atto incivile: è una ferita al patrimonio collettivo. E il messaggio lanciato oggi dal senatore è destinato ad alimentare il dibattito: la legge c’è, ma serve farla sentire.


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