LIBERALMENTE CORRETTO – L’Ue sempre “coerente” ora pro ora contro la concorrenza di mercato
La Commissione europea, avocando a sé il potere esclusivo di valutare l’opportunità delle grandi fusioni societarie, censura il governo italiano, per le restrizioni imposte all’acquisizione di Bpm da parte di Unicredit e si appresta a promuovere la procedura d’infrazione, nell’eventualità che il governo Meloni voglia persistere.
Ci pare un’ennesima interferenza indebita dell’Unione sovietica europea, in dispregio dei principi del Trattato, della ratio della normativa regolamentare e dell’uguaglianza degli Stati. In Europa vige, ma solo sulla carta, il principio di sussidiarietà, sancito dall’art. 5 del Trattato (TUE), secondo cui “nei settori che non sono di sua competenza esclusiva l’Unione interviene soltanto se e in quanto gli obiettivi dell’azione prevista non possono essere conseguiti in misura sufficiente dagli Stati membri”. Non pare trattarsi di un settore di competenza esclusiva, sicché dovrebbe prevalere la disciplina nazionale.
Non si capisce poi quale sia la ratio dell’interferenza europea sulla decisione del governo italiano, posto pure che non sia violato l’art. 5 del TUE. Una piccola premessa. In questa materia, l’intervento dei poteri pubblici nazionali può essere giustificato o per il rilevante interesse strategico dell’azienda interessata o per la salvaguardia della concorrenza di mercato. In entrambi i casi l’interdizione europea potrebbe aver luogo a difesa della libera concorrenza.
Lo Stato nazionale può utilizzare lo strumento del golden power per impedire l’acquisizione da parte di operatori stranieri di asset societari di rilevante interesse strategico, soprattuto nei settori dell’energia e della difesa. L’Unione europea potrebbe di contro assumere che l’interesse strategico nazionale, per ipotesi, non sussista e censurare l’indebito intervento dello Stato. Orbene, in questa ipotesi, l’Unione si ergerebbe a difesa degli “stranieri” discriminati, a tutela dell’autonomia privata degli operatori economici; insomma agirebbe a favore della libera dinamica di mercato.
Lo Stato nazionale può altresì intervenire per impedire la costituzione di monopoli, oligopoli e cartelli, in favore della libera concorrenza di mercato; dunque in funzione antitrust. Con la medesima ratio può intervenire l’Unione, per impedire l’abuso di “posizione dominante”. In sintesi, l’Unione agirebbe sempre e comunque per tutelare la libera concorrenza di mercato, mentre lo Stato nazionale potrebbe agire anche a tutela dell’interesse strategico nazionale. Se questo è il quadro teorico degli scopi che dovrebbero muovere le azioni di interposizione dei pubblici poteri, nazionali ed europei, il preannunciato veto europeo agli atti del governo italiano, relativi alla vicenda Unicredit-Bpm, appare extra ordinem, se non addirittura in totale contrasto con le intenzioni dichiarate delle istituzioni europee (il Regolamento 139/2004 sulle concentrazioni è stato adottato con lo scopo precipuo di “garantire che la concorrenza non sia falsata nel mercato interno”).
Com’è noto, il Ministero dell’economia ha visto con disfavore il progetto di Unicredit di assorbire il polo bancario Bpm, per la preoccupazione che la “posizione dominante” del gruppo nascente danneggi il libero mercato finanziario e ostacoli l’erogazione del credito alle piccole aziende. L’Unione europea si mette di traverso, allo scopo di favorire la nascita dell’oligopolio; ergo contraddice quella parte di sé stessa, ufficialmente antitrust. Possiamo dedurne che la libera concorrenza dei produttori è interesse dell’Unione, ma quella dei finanziatori dei medesimi non è di suo interesse; dunque, a quanto pare, la finanza non è a servizio della produzione. Si registra poi che uguali censure non sono state formulate al governo tedesco per l’alt imposto all’acquisizione di Commerzbank da parte di Unicredit; né al governo spagnolo per l’acquisione di Sabadell da parte di Bbva. Possiamo dedurne che i burocrati di Bruxelles hanno il privilegio di essere flessibili o inflessibili a loro piacimento.
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