Ecco perché i colloqui indiretti tra Israele e Hamas non hanno portato a un accordo
Le trattative per la tregua di 60 giorni in cambio del rilascio di 18 ostaggi israeliani non sono nella fase conclusiva
La settimana che ha aperto i colloqui indiretti tra Israele e Hamas in Qatar sta per concludersi senza un accordo. L’inviato speciale statunitense per il Medio Oriente Steve Witkoff, atteso a Doha per partecipare ai negoziati, al momento non ha annunciato la data del suo arrivo.
Segno che le trattative per la tregua di 60 giorni in cambio del rilascio di 18 ostaggi israeliani non sono nella fase conclusiva. Mentre le operazioni dell’esercito israeliano a Gaza proseguono con morti su entrambi i fronti, le delegazioni negoziali di Israele e Hamas sono ferme sulle loro posizioni. Il principale punto di disaccordo è il cosiddetto corridoio di Morag, che separa Khan Yunis da Rafah.
Questa porzione di territorio lunga 12 chilometri e larga circa 300 metri è la cintura di sicurezza che l’esercito israeliano ha creato nell’aprile del 2025 per togliere ad Hamas l’accesso al confine con l’Egitto, isolandola nella zona costiera al centro Nord della Striscia. I giornalisti del Jerusalem Post che hanno visitato l’area militare in aprile, la descrivono come una zona ormai priva di abitazioni e strutture, interamente presidiata dalla 36° divisione dell’esercito israeliano, comandata dal generale Moran Omer.
È grazie a questa cintura di sicurezza militarizzata che gli israeliani hanno sconfitto i due battaglioni di Hamas a Rafah, sottraendo definitivamente all’organizzazione palestinese il controllo del confine con l’Egitto, dal quale passavano armi, soldi in contanti e aiuti umanitari. Ed è qui, nel territorio intorno a Rafah, che gli israeliani hanno attivato gli aiuti della Gaza Humanitarian Foundation, spingendo la popolazione civile verso il Sud della Striscia con l’obiettivo di sottarla al dominio politico e militare di Hamas. Non meraviglia che uno dei capisaldi su cui l’organizzazione palestinese non è disposta a cedere nelle trattative di Doha riguardi proprio il ritiro di Israele dal corridoio di Morag. “Loro (gli israeliani, ndr) vogliono tenersi Rafah fino al corridoio di Morag”, ha dichiarato uno dei leader di Hamas, Basem Naim, a proposito della difficoltà di arrivare a un punto di incontro.
Colloqui per la pace Israele-Hamas, le condizioni di Netanyahu
È difficile credere che Israele sia disposta a ritirarsi. Giovedì Netanyahu ha riassunto le proprie condizioni davanti alla stampa americana. “Hamas deponga le armi, Gaza sia demilitarizzata, Hamas ceda il potere politico e militare. Queste sono le nostre condizioni di base”. “Possiamo raggiungerle per via negoziale e sarebbe davvero una gran cosa. Ma se dopo i 60 giorni non si concretizzeranno, allora ricorreremo ad altre strade”. Hamas, però, ha ancora carte da giocare. Migliaia di uomini armati sono ancora pronti a combattere per Gaza.
Persa la via degli approvvigionamenti al confine con l’Egitto, resta comunque aperta la strada dei traffici via mare, lungo la costa. Non per nulla gli israeliani il 30 giugno hanno bombardato l’internet caffè sulla spiaggia di Gaza City, nella quale ha perso la vita il comandante delle forze navali nel Nord della Striscia, Ramzi Ramadan Abd Ali Salah.
Tra l’altro, le recenti tensioni tra Israele e le milizie Houthi che controllano le acque del Mar Rosso al largo delle Yemen, portano dritto al flusso di armi diretto alla costa di Gaza attraverso il canale di Suez. Una rotta collaudata, che l’Iran utilizzata ormai da decenni per armare le milizie alleate.
Le trattative in corso a Doha tra Hamas e Israele coinvolgono più parti in causa di quelle ufficialmente dichiarate. Tra queste, occorre mettere sicuramente in conto l’Iran e le milizie Houthi. Trovare un punto di accordo significa anche mediare una soluzione per le tensioni nella regione. Il compito si preannuncia arduo, come previsto. Ed è probabile che, in questo senso, il passo più significativo sia stato compiuto negli ultimi giorni dall’Arabia Saudita. Martedì il ministro degli Esteri iraniano Abbas Araghchi ha incontrato alla Mecca il principe ereditario Mohammed bin Salman e il ministro degli Esteri saudita, il principe Faisal bin Farhan. Se l’accordo si troverà, uno dei mediatori più importanti, l’Arabia Saudita, non sarà ufficialmente seduto al tavolo dei negoziati. Secondo un vecchio adagio arabo, le cose non vanno mai viste per quello che appaiono né in Medio Oriente né altrove.
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