Attualità

Giustizia, dolore e vendetta: la tragedia di un padre e l’eterna domanda sul senso della pena

La vendetta non è giustizia, ma la conseguenza amara di un dolore ignorato

di Anna Tortora -


Giustizia, dolore e vendetta. A Rocca di Papa, in provincia di Roma, Guglielmo Palozzi ha aspettato che l’assassino del figlio uscisse per strada e gli ha sparato, uccidendolo. Una vendetta consumata a distanza di anni, dopo che il figlio era stato ucciso per 25 euro. Questa tragica vicenda ci spinge a riflettere: cosa accade quando la giustizia non è percepita come giusta? Può il dolore essere misura della pena? Può la vendetta essere considerata una risposta “umana”, seppur sbagliata?

Due autorevoli voci si confrontano su questo tema: l’avvocato Giandomenico Caiazza, ex presidente dell’Unione camere penali, e Luigi Bobbio, magistrato ed ex senatore.

La giustizia non si misura col dolore

Caiazza afferma:“La vicenda drammatica di un padre che uccide, ad anni di distanza, la persona ad oggi riconosciuta come l’assassino di suo figlio, suggerisce una sola riflessione plausibile: il dolore della persona offesa non può mai essere unità di misura della giustezza di una sentenza. Se ti ammazzano un figlio, il tuo dolore non cambia se l’omicidio fu volontario, colposo o preterintenzionale. Ma un processo penale giusto dovrà invece accertare esattamente questo, e la pena inflitta dovrà essere proporzionata alla natura del fatto accertato, non al dolore – comunque inestinguibile – dei familiari della vittima”.

Questa distinzione tra diritto e vendetta è fondamentale per garantire la civiltà e la razionalità del sistema penale.

Quando lo Stato fallisce, nasce la vendetta

Bobbio interpreta la vicenda come conseguenza di un fallimento istituzionale. “Una giustizia che non dà risposte ai cittadini chiama la vendetta. Il Privato può essere migliore del Pubblico. Un Pubblico inadeguato e inefficiente ha fatto di un padre un assassino e una vittima al contempo”, spiega. Quando lo Stato abdica al suo ruolo, il privato si sente legittimato a farsi giustizia da sé.

Due verità in tensione

Le posizioni non si escludono: da un lato la difesa del rigore giuridico, dall’altro la denuncia di un sistema che perde credibilità. Entrambe riconoscono che la vendetta nasce dove la giustizia non arriva.

Una giustizia forte è una giustizia presente

La tragedia di Rocca di Papa mostra come il confine tra vittima e carnefice possa spezzarsi. La vendetta non è giustizia, ma la conseguenza amara di un dolore ignorato.
Solo una giustizia presente, equa e umana può impedire che la disperazione si trasformi in crimine. Bisogna prendersi cura anche delle ferite invisibili, perché la vera sfida non è solo punire, ma dare senso. E non lasciare che il vuoto della giustizia diventi spazio per la vendetta.


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