Elkann e il Fisco: i 175 milioni della saga infinita dell’eredità Agnelli
John, Lapo e Ginevra fanno l'accordo per il pagamento all'Agenzia delle Entrate
Centosettantacinque milioni di euro: è questo il conto che John Elkann, presidente di Stellantis e Ferrari, si appresta a pagare all’Agenzia delle Entrate per chiudere il fronte più spinoso e incandescente dell’eredità Agnelli: la parte legata alla successione di Marella Caracciolo, spirata 92enne nel 2019, vedova dell’Avvocato Gianni Agnelli, morto nel 2003.
Una cifra imponente, frutto di una trattativa lunga, silenziosa, condotta con i toni discreti che si addicono a una dinastia che un tempo era abituata a gestire in privato i propri conflitti pubblici. Ma anche un gesto netto, che segna il tentativo degli Elkann di chiudere il dossier tributario prima che diventi una grana penale ingestibile. Con lui, i fratelli Lapo e Ginevra. I tre fratelli fanno fronte comune sul piano fiscale per evitare il peggio. Non c’è ammissione di colpa, né tacita né esplicita.
Eredità Elkann: un patto col Fisco
C’è un patto col Fisco. Un accordo tecnico, strategico, che riguarda imposte, tasse evase e sanzioni legate a un vitalizio mensile da 600 mila euro versato da Margherita Agnelli alla madre Marella, in base a un patto successorio firmato oltre vent’anni fa. Secondo la Guardia di Finanza, quegli importi non furono dichiarati e avrebbero configurato una violazione fiscale con margini penali. La replica di Elkann è tutta nel linguaggio dei comunicati: “Definizione complessiva”, “nessuna ammissione della fondatezza delle contestazioni”, “obiettivo di chiudere rapidamente e definitivamente una vicenda dolorosa sul piano personale e familiare”.
Finora sono stati versati oltre 110 milioni, con garanzie bancarie fornite anche da istituti esteri. Il saldo finale arriverà nelle prossime settimane. Ma il contenzioso con lo Stato italiano non si limita al fisco. La Procura di Torino ha aperto un fascicolo penale per truffa ai danni dello Stato ed evasione fiscale. Gli indagati sono John Elkann, Lapo, Ginevra, il commercialista Gianluca Ferrero e il notaio svizzero Urs von Grünigen. A febbraio è arrivato il sequestro preventivo di 74,8 milioni, convalidato dal gip. Al centro delle indagini c’è la residenza fiscale di Marella Caracciolo: secondo i magistrati, sarebbe stata simulata una fittizia dimora in Svizzera, sin dal 2010, per evitare il pagamento delle imposte di successione in Italia.
Un’operazione che avrebbe consentito di sottrarre al fisco decine di milioni di euro e, secondo l’accusa, avrebbe favorito anche la marginalizzazione di Margherita Agnelli, la figlia dell’Avvocato, dalla gestione dell’eredità. Margherita, da anni, contesta infatti la validità degli atti successori del 2004, sostenendo di essere stata esclusa dalla cassaforte di famiglia, la holding Dicembre, perché le sarebbero state taciute enormi ricchezze in paradisi fiscali. I figli, guidati da John, difendono invece la legittimità della struttura ereditaria e della governance costruita negli anni dal nonno Gianni, fondata su criteri manageriali e sull’unità del comando. In questo scenario complesso e ancora in movimento, Elkann gioca adesso un’altra carta: quella della “messa alla prova”.
Una misura prevista dal codice penale per i reati di media entità, che consente la sospensione del processo in cambio di un percorso riparativo, fatto di lavori di pubblica utilità e impegno civile. Quello che avvenne per l’ex presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi, quando fece il volontario alla casa di risposo di Cesano Boscone. L’obiettivo è chiaro: evitare il dibattimento penale, estinguere il reato, chiudere la partita senza ammettere alcuna colpa, ma mostrando responsabilità. Elkann – è la narrazione che trapela dal suo entourage – non cerca rifugi né scorciatoie, ma un terreno condiviso su cui costruire una soluzione non umiliante. Il programma, se approvato, durerà almeno un anno e sarà dedicato all’assistenza di soggetti fragili o a interventi di protezione civile. Se tutto andrà come previsto, il procedimento sarà archiviato. Se invece l’esito sarà negativo o emergeranno nuovi elementi, il processo riprenderà. Intanto, sullo sfondo, resta la saga fiscale e familiare più lunga e seguita d’Italia. Da allora John Elkann è diventato il volto sobrio e concreto del capitalismo familiare italiano.
Alla guida del veicolo societario Exor, che controlla Stellantis, Ferrari, Juventus e moltissimo altro, e che ha investito nell’innovazione e nel dialogo con le menti globali dell’intelligenza artificiale, come Sam Altman. Ma in Italia il cognome non si archivia. Elkann lo sa. Non è un outsider. Non è uno che si nasconde. È cresciuto per diventare ciò che oggi è chiamato a essere: il custode di una storia che appartiene non solo alla sua famiglia, ma al Paese. Ecco perché il pagamento da 175 milioni non è solo una cifra. È un gesto. È un segnale. È il modo che ha scelto per difendere la continuità dell’immagine Agnelli, in un tempo in cui i simboli contano ancora. Per Elkann, pagare non significa ammettere. Ma significa rispondere. Alla legge, alla famiglia, alla storia. Nel frattempo rimane aperta la battaglia giudiziaria tra Margherita e i tre figli avuti dal giornalista Elkann, attorno alla quale ruota la questione dell’eredità che dovrebbe essere regolata dal diritto italiano, come sostiene la figlia di Marella, con conseguente decadenza dei patti siglati in Svizzera che portarono al riconoscimento a Margherita di una legittima di 1 miliardo di euro. Cifra non ritenuta congrua in base a quanto le sarebbe stato nascosto. Ma questa è un’altra partita. Civile che si gioca in aula a Torino.
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