La democrazia ha un costo: anche quello delle pensioni dei parlamentari
Vado controcorrente e sulla polemica delle pensioni ai parlamentari dico che la democrazia deve avere un costo. C’è un provvedimento, in questi giorni, che torna ad alimentare le solite polemiche: quello sulle pensioni degli ex deputati, approdato alla Camera e subito trasformato nell’ennesimo bersaglio di un populismo di maniera. Da vent’anni in Italia si è affermata l’idea che la politica debba essere un mestiere da punire, una colpa da espiare, un’attività che merita di essere sottopagata, umiliata e dileggiata in pubblico. Io vado controcorrente: penso che la democrazia, se la vogliamo seria, debba avere un costo. Perché è facile fare demagogia e ripetere il solito ritornello dei “privilegi della casta”, ma basterebbe guardare la politica con lo stesso sguardo pragmatico con cui un imprenditore valuta il proprio management per capire un concetto elementare: se vuoi una classe dirigente competente, motivata e in grado di reggere la responsabilità di decidere per milioni di persone, non puoi pretendere che lo faccia gratis o quasi. In ogni azienda seria, il personale più capace viene retribuito di più, perché è un investimento che genera valore.
E non si capisce per quale strano automatismo morale in politica dovrebbe valere l’esatto contrario. Del resto, chi conosce davvero questo mondo sa bene che per diventare parlamentare non si arriva con la bacchetta magica o quantomeno non dovrebbe essere così. Si parte da anni di militanza, nella maggior parte dei casi non retribuita, fatti di riunioni interminabili, di chilometri percorsi per seguire un comizio, di serate passate a studiare regolamenti, norme, strategie. Si investono soldi propri in campagne elettorali, spesso dopo cocenti sconfitte. Quando finalmente si riesce a entrare in Parlamento (ma su 100 che ci provano quanti ci riescono? L’1%, più probabile lo 0,01%! ) , si lascia un lavoro sicuro, una carriera parallela, con il rischio concreto di ritrovarsi a fine mandato senza più un mestiere e con meno prospettive di prima.
E a quel punto ti fanno i conti in tasca, ti accusano di “rubare lo stipendio”, come se il lavoro parlamentare si esaurisse nelle presenze in aula e non comprendesse un impegno totale: relazioni con il territorio, con i media, con le istituzioni, e un carico di responsabilità che in qualunque altro ambito sarebbe retribuito adeguatamente e senza scandalizzare nessuno. Il paradosso italiano è che, se un parlamentare proviene da un contesto modesto, lo si accusa di essere un “arrivista”. Se proviene da una famiglia benestante, lo si critica perché “non può capire i problemi della gente comune”. Se lavora tanto, “fa solo carriera personale”. Se guadagna poco, “è uno sprovveduto”. Se guadagna bene, “è un ladro di stipendio”. Vorremmo la gallina oggi, l’uovo oggi, la gallina domani e l’uovo anche domani.
Non si può ragionare così: questo infantilismo permanente produce solo mediocrità. La verità è che la politica italiana ha perso negli anni i migliori talenti, perché chi è davvero capace ha capito che questo mestiere è ingrato, rischioso e alla fine persino penalizzante. Non è un caso che oggi molti dei parlamentari più autorevoli appartengano a una generazione che si è formata quando fare politica era ancora considerato un impegno nobile e non una vergogna da giustificare. Io parlo anche da imprenditore: nella mia azienda so che i collaboratori più preparati vanno pagati bene, valorizzati e rispettati. E questo vale anche per chi si assume la responsabilità di guidare un Paese. Altrimenti ci ritroveremo governati da chi non ha nulla da perdere o da chi ha già tutto e può permettersi di farsi un giro di potere per capriccio personale, con tutti i rischi di conflitto di interessi che ne derivano perché in Italia chi è ricco è criminalizzato invece di riconoscergli dei meriti e per definizione se sei ricco non puoi occuparti della cosa pubblica perché necessariamente sei in malafede e in conflitto di interessi. Ecco perché dico con chiarezza che è arrivato il momento di ridicolizzare i brontoloni di professione, quelli che vivono di rancore e pretendono di avere tutto gratis: la democrazia, se la vogliamo seria, costa. Ed è giusto che costi. Meglio una classe politica pagata in modo trasparente e dignitoso che una politica debole, rancorosa e piena di mediocri. Se vogliamo un Paese migliore, dobbiamo finalmente smettere di fare populismo e imparare a pretendere qualità e competenza, sapendo che queste hanno – e devono avere – un prezzo.
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