Depressione, la cura con i funghi allucinogeni
Il 5,4% della popolazione over 15 anni colpita nell’ultimo anno. Dalle sostanze psichedeliche forse arriva la cura
Spesso scambiata per semplice tristezza o debolezza di carattere, la depressione è una delle patologie mentali più diffuse e meno comprese del nostro tempo: secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità, colpisce oltre 280 milioni di persone nel mondo, ma resta ancora oggi circondata da biasimo e disinformazione.
Chi ne soffre combatte ogni giorno una battaglia fatta di vuoto emotivo, stanchezza cronica e perdita di interesse per tutto ciò che lo circonda. La depressione può colpire chiunque, a qualsiasi età, in qualsiasi contesto sociale. Circa 3 milioni di persone in Italia convivono con problemi depressivi in forma conclamata, secondo l’ISTAT il 5,4% della popolazione sopra i 15 anni ne ha sperimentato i sintomi nell’ultimo anno. Dati dell’Istituto Superiore della Sanità indicano che nella fascia 18-34 anni i sintomi depressivi riguardano circa il 6% degli adulti, con un trend in aumento, specialmente tra i giovanissimi.
Altra fascia d’età particolarmente colpita è quella degli over 65, dove un Italiano su 7 ne soffre, mentre dopo gli 85 anni, soprattutto tra le donne, si supera il 20%. Si stima che tra i 4 ed i 5 milioni di persone nel nostro paese convivano con un familiare affetto da depressione. Il termine tecnico è “burden”, carico di cura, ma dietro la parola si nascondono spesso mesi di insonnia, lavoro saltato, relazioni sociali troncate, un’intera vita sacrificata per reggere un equilibrio sempre più precario.
Il peso della depressione familiare ricade anche sui figli: studi internazionali hanno dimostrato che i bambini con un genitore depresso hanno un rischio doppio di sviluppare disturbi dell’umore entro l’adolescenza. La mancanza di stabilità emotiva, l’inversione dei ruoli e l’assenza di dialogo contribuiscono a formare adulti vulnerabili e poco sicuri.
Nonostante l’enorme impatto, si parla ancora troppo poco del coinvolgimento familiare, c’è ancora l’idea che non sia una malattia vera, costringendo spesso le famiglie all’isolamento, quando avrebbero invece bisogno di una rete di sostegno, formazione e ascolto. Fortunatamente alcune esperienze stanno cambiando la rotta: progetti pilota in Lombardia e Toscana stanno sperimentando spazi di ascolto per familiari nei centri di salute mentale. Anche alcune scuole stanno avviando incontri informativi per adolescenti che vivono con un genitore depresso.
Gli esperti concordano: la depressione non può essere curata solo individualmente, perché spesso è un problema relazionale e sistemico. La terapia familiare, il sostegno ai caregiver e programmi scolastici di prevenzione dovrebbero diventare parte integrante dei protocolli di trattamento. Ma si stanno aprendo scenari che lasciano spazio a nuove speranze, sia per i malati che per le loro famiglie. Per decenni, la depressione è stata trattata con un approccio quasi standardizzato: farmaci antidepressivi, psicoterapia, e nei casi più gravi trattamenti come la stimolazione magnetica transcranica. Eppure, per i milioni di pazienti affetti da depressione resistente ai trattamenti le opzioni sono rimaste limitate.
Oggi, un’ondata di nuovi studi scientifici potrebbe cambiare radicalmente il panorama terapeutico. Al centro dell’attenzione: sostanze psichedeliche come la psilocibina (contenuta nei cosiddetti “funghi allucinogeni”), la ketamina e l’MDMA (ecstasy). Negli ultimi cinque anni, università e centri di ricerca di tutto il mondo – Stati Uniti, Australia, Regno Unito, Svizzera – hanno pubblicato dati promettenti. Uno studio del 2023 ha dimostrato che la psilocibina, somministrata in contesto controllato e con supporto psicoterapeutico, può ridurre significativamente i sintomi depressivi già dopo una o due somministrazioni, con effetti che durano per mesi. Anche la ketamina – un anestetico usato da decenni soprattutto in ambito veterinario – ha dimostrato efficacia nel trattamento della depressione grave, con miglioramenti visibili anche in 24 ore nei casi acuti.
Tuttavia, l’entusiasmo è accompagnato da cautela: le sostanze psichedeliche vanno somministrate in ambiente medico, con personale esperto e non sono prive di rischi, ma dopo decenni di proibizionismo queste sostanze stanno riacquistando dignità scientifica. Negli Stati Uniti, la FDA ha concesso la designazione di “terapia innovativa” a diversi studi sulla psilocibina e sull’ ecstasy, mentre in Italia la situazione è più cauta: la ricerca procede, ma l’uso clinico di questi composti è ancora lontano dall’essere autorizzato. È però partita in questi giorni, presso la Clinica Psichiatrica dell’ospedale di Chieti, la prima sperimentazione che utilizza la psilocibina per trattare forme di depressione resistente ai trattamenti convenzionali.
Il progetto, autorizzato dall’Agenzia Italiana del Farmaco e finanziato attraverso fondi del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR), è coordinato dall’Istituto Superiore di Sanità in collaborazione con l’Università “G. d’Annunzio” e le ASL di Roma 5 e Foggia. La sperimentazione coinvolgerà 68 pazienti affetti da depressione resistente e si protrarrà per 24 mesi, con l’obiettivo di verificare l’efficacia clinica del trattamento. Intanto, cresce l’interesse tra i pazienti e i professionisti della salute mentale, sempre più consapevoli che per affrontare un male complesso come la depressione serve un approccio nuovo, flessibile ed anche un po’ rivoluzionario. Oggi è ricerca, domani potrebbe essere cura: forse non siamo lontani dal giorno in cui la sofferenza della depressione potrà incontrare soluzioni nuove e più efficaci. E quel giorno sembra sempre meno distante.
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