Meno banche ma (molto) più ricche: ecco i numeri Fabi
Diminuisce il numero degli istituti, aumentano (esponenzialmente) utili e ricavi
Meno banche, più ricche. Ecco i numeri del rapporto Fabi: se, da un lato, diminuisce il numero degli istituti di credito italiani, dall’altro salgono, in maniera esponenziale, le cifre di utili, ricavi e fatturato. L’anno appena trascorso, il 2024, ha segnato il record di utili netti per il comparto e il primato di sempre in termini di ricavi. Insomma, le banche – anche se sono sempre di meno e potrebbero diminuire ancora se le partite del risiko bancario andassero a buon fine – sono sempre più ricche.
Il Triennio d’Oro, banche più ricche
I numeri della Federazione autonoma dei bancari la dicono lunga. In termini di utile netto, le banche italiane nel 2024 hanno guadagnato, in tutto, qualcosa come 46,5 miliardi di euro. La crescita è stata pari al 14%, in soldoni – ed è proprio il caso di dirlo – si tratta di 5,6 miliardi in più rispetto al 2023. Ma non basta. Perché se a essere preso in considerazione è il periodo triennale, dal 2022 al 2024, ecco che si scopre come i miliardi finiti a rimpinguare la voce utile netto degli istituti di credito siano addirittura più di 112. “Un triennio d’oro”, dicono da Fabi. Le banche, difatti, hanno capitalizzato al meglio la stretta di politica monetaria imposta dalla Bce e hanno fatto manbassa di utili. Non è un caso se tutto è cominciato proprio tre anni fa, nel 2022, quando Francoforte iniziò a inasprire i tassi dando alle banche l’occasione per arricchirsi, mettendo a referto ben 25,5 miliardi di euro in utili.
Ricavi al top
Un altro record storico, fortemente connesso a quello degli utili, riguarda naturalmente i ricavi delle banche italiane. Che, nel 2024, hanno raccolto 110,1 miliardi di euro “confermando una fase di espansione che dura da ormai tre anni consecutivi”. Il solito triennio d’oro di cui sopra. Nel 2024 i ricavi sono già saliti di 7,3 miliardi (+7,2%). Ma il dato si fa ancora più interessante se si mette a paragone con quello del pre-Covid. In sei anni, dal 2018 al 2024, le banche italiane hanno dichiarato ricavi in aumento per 27 miliardi addirittura un terzo in più (+33,8%). A trainare, lo scorso anno, è stato ancora una volta il margine di interesse, che si è attestato a 64,4 miliardi, in crescita di 2,3 miliardi sul 2023 (+3,7%) e di oltre 22 miliardi (+53,9%) rispetto ai livelli del 2018. Dopo la stabilità degli anni pre-pandemia e la flessione del 2020 (38,7 miliardi), il 2022 ha segnato il primo scatto deciso, con il margine d’interesse salito a 45,5 miliardi (+18,6% annuo). Ma è stato il 2023 a imprimere la svolta più netta, con un incremento annuale record del +36,4%, pari a +16,6 miliardi, che ha portato la voce sopra la soglia dei 62 miliardi. Il 2024 conferma questa traiettoria, anche se con una velocità di crociera più moderata, segnando un +3,7% rispetto al picco precedente.
Più ricche ma (molte) meno banche
Il triennio d’oro, già. Ma pure l’epoca dell’estinzione di massa degli istituti di credito, specialmente quelli più piccoli. I numeri Fabi non mentono: in sei anni la rete bancaria italiana ha perduto il 17% delle sue banche, che son passate da 505 (nel 2018) a 420. Le banche popolari sono scese da 22 a 16, mentre le Bcc (banche di credito cooperativo) si sono ridotte da 268 a 218, in linea con l’operazione di riforma e centralizzazione avviata nel 2016 e culminata nella nascita dei grandi gruppi cooperativi. Ma attenzione: non si tratta di chiusure, almeno non nella maggior parte dei casi. Si tratta, semmai dell’esito di un processo, avviato da tempo e solo oggi divenuto di strettissima e cogente attualità economica e politica, di concentrazione e accorpamento degli istituti di credito italiani.
La desertificazione degli sportelli
C’era una volta la filiale sul territorio. Oggi, invece, ce ne sono molte di meno. Ci si affida all’home banking, ai servizi online, magari agli appuntamenti diretti. Ma di sportelli, sui territori, ce n’è sempre di meno. Nel 2018 ce n’erano poco più di 25mila (per la precisione 25.409), sei anni dopo non arrivano a ventimila (19.655). Sotto la mannaia dei tagli son finite 6mila filiali, un quinto (22%) del totale. Fabi, però, rivendica che almeno dal punto di vista sociale, la trasformazione delle banche non ha avuto grossi impatti: gli esuberi sono stati gestiti con pensionamenti e prepensionamenti su base volontaria. Il guaio, semmai, è stato per i clienti, soprattutto i più anziani, che si son ritrovati privi di un punto di riferimento importante soprattutto nella zone periferiche e nelle aree interne.
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