Due inchieste e una politica giudiziaria da ripensare
In nome della legge, ma non tutti si fidano?
Non è Tangentopoli, eppure il rumore di fondo è quello. Le cronache giudiziarie di queste settimane raccontano di due città simbolo – Palermo e Milano – e due inchieste che scuotono i palazzi del potere.
Da un lato l’Assemblea Regionale Siciliana, roccaforte del centrodestra; dall’altro la giunta progressista di Milano, fiore all’occhiello del “campo largo” sognato da Elly Schlein.
Le analogie sono molte.
Ma c’è una differenza con domanda sostanziale: la magistratura non si fida più nemmeno di sé stessa?
Le Procure, con crescente frequenza, scelgono di contrastare le sentenze dei propri colleghi giudicanti, presentando ricorsi su ricorsi.
Il sospetto – a tratti il timore – è che il potere giudiziario stia vivendo una transizione storica, tentennando tra l’autoconservazione e la resa alla riforma incombente.
Quel preoccupante Saltum
Il caso palermitano è clamoroso, non tanto per l’entità dello scandalo – per ora relativamente contenuta – quanto per l’evidente tensione istituzionale che ne è scaturita.
La Procura del capoluogo siciliano, ad esempio, ha deciso di evitare l’appello contro l’assoluzione di Matteo Salvini per il caso dei migranti.
Ha optato invece per la via del Saltum: salta la Corte d’Appello e si rivolge direttamente alla Corte di Cassazione: non è forse questa una dichiarazione di mancata accettazione della sentenza di primo grado, così come i possibili esiti della seconda?
Un gesto estremo, sottile sul piano del diritto, ma fragilissimo su quello della fiducia nel sistema.
Nel frattempo, a Palermo, l’inchiesta vera – quella sulla gestione opaca dei fondi pubblici all’Assemblea Regionale – cresce di giorno in giorno.
Gli indagati aumentano: il presidente Gaetano Galvagno, la sua ex portavoce Sabrina De Capitani, Elvira Amata (assessora della giunta Schifani), il suo segretario particolare e tante altre persone.
E mentre le intercettazioni vengono passate al setaccio, il nome di Ignazio La Russa – presidente del Senato e mentore politico di Galvagno – compare in sottofondo, e diventa un passepartout.
per dare all’informazione locale un respiro di interesse nazionale.
Fallisce il laboratorio progressista
A Milano, intanto, la sinistra deve fare i conti con sé stessa.
Il progetto del “campo largo” con i Verdi, Italia Viva e… incarnato dalla giunta guidata da Giuseppe Sala, rischia di implodere sotto il peso delle indagini.
I quattro milioni di euro passati dai conti correnti dei sospettati, le intercettazioni, le pressioni indebite e la narrazione dell’amministrazione modello, progressista, ecologista e trasparente, ancora una volta mostra crepe profonde.
Giancarlo Tancredi, assessore all’Urbanistica del Comune di Milano, è iscritto nel registro degli indagati con tanto di richiesta d’arresto.
Un gesto forte da parte della Procura, che da due anni lavora gomito a gomito con la Guardia di Finanza dentro Palazzo Marino.
E ieri è stata indagata anche Ada Lucia De Cesaris, ex vicesindaca di Sala, accusata di pressioni illecite.
Il sindaco Giuseppe Sala, atteso oggi in conferenza stampa, difficilmente si dimetterà per ragioni giudiziarie.
Si prevede solo che solleverà il velo su qualche “questione morale”, come da prassi.
Eppure, se si fosse davvero trattato di una Tangentopoli 2.0, come qualcuno si affanna a sostenere, non solo il povero compagno Tancredi, oggi sarebbe già in custodia cautelare.
Centinaia di persone accusate di reati come il suo, o per molto meno, finivano agli arresti (domiciliari se miracolati) nel corso di trent’anni di retate in nome di tangentopoli.
Lo stallo delle Procure
Nel frattempo, le due Procure, di nord e sud Italia, sembrano impegnate in una sottile ma autonoma partita a scacchi.
Il caso Milano meritava da subito la prima pagina, ma da Palermo hanno rilanciato con due assi pesanti: il presidente del Senato e il ministro Salvini.
La guerra è mediatica quanto giudiziaria.
I media più vicini al centrosinistra danno ampio risalto all’inchiesta siciliana.
Quelli meno critici con il governo picchiano sulle crepe dell’amministrazione Sala.
È uno stallo messicano, dove ognuno tiene il dito sul grilletto, aspettando che l’altro spari per primo.
Nel frattempo, la riforma della giustizia incombe.
Nessuno ne parla apertamente, ma pesa come una pietra sul tavolo delle Procure della Repubblica.
Cambierà le carriere, limiterà i poteri, forse separerà finalmente le funzioni tra chi accusa e chi giudica.
Una giustizia che si fa tattica
Certo è che le inchieste sono doverose, giuste, fondamentali. Ma anche la giustizia deve avere un volto sempre credibile.
E quando gli inquisitori iniziano a non fidarsi più nemmeno dei propri collegi giudici giudicanti, qualcosa, nel sistema, si è incrinato.
Il rischio non è solo di una nuova Tangentopoli, ma di una giustizia che smette di essere terza e inizia a essere tattica.
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